Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Dic 14, 2014 Cardiotool Farmaci, Farmaci Prevenzione secondaria, Questioni Pratiche, Questioni Pratiche - Prevenzione Secondaria 0
E’ ben documentato che l’interruzione precoce della terapia antiaggregante in un paziente sottoposto ad angioplastica coronarica comporti un rischio elevato di trombosi dello stent, evento potenzialmente letale.
Può accadere, però, che lo stesso paziente debba essere sottoposto ad una manovra invasiva o a un intervento chirurgico, situazioni che, essendo correlate ad un rischio emorragico più o meno elevato, richiederebbero una interruzione della terapia antiaggregante.
Come comportarsi in questi casi? E’ ovvio che, laddove possibile, l’intervento andrà procrastinato almeno quanto basta a superare il periodo di maggior rischio trombotico che segue alla procedura di rivascolarizzazione (almeno 6 mesi dopo angioplastica con stent metallico, almeno 12 mesi se stent medicato).
Non sempre però questo è possibile e ci si trova pertanto a fronteggiare scelte molto difficili, che devono tener conto di molte variabili correlate al paziente, senza poter fare riferimento a solide evidenze scientifiche. La decisione in questi casi è molto complessa ed esula totalmente dalle competenze del Medico di Medicina Generale. E’ stato recentemente pubblicato un ampio documento di consenso che può essere utilizzato come supporto decisionale in quanto propone differenti strategie in funzione del rischio trombotico del paziente e del rischio emorragico correlato alle varie procedure interventistiche.
Anche se generalmente non coinvolto in questo tipo divalutazione, è bene che il Medico di Medicina Generale conosca le strategie da adottare nei confronti di alcune procedure che possono essere eseguite in regime ambulatoriale (vedi tabella).
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