Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Dic 08, 2014 Cardiotool Questioni Pratiche, Questioni Pratiche - Scompenso Cardiaco 5
Il quadro clinico dello scompenso, generalmente attribuito a una riduzione della funzione sistolica del ventricolo sinistro, può essere sostenuto anche da alterazioni del rilasciamento ventricolare. E’ stato dimostrato che in circa la metà dei pazienti che presentano sintomi e segni tipici di scompenso cardiaco le alterazioni diastoliche sono nettamente prevalenti mentre la funzione sistolica può essere normale o solo modicamente depressa. Per definire questa condizione è stato coniato il termine di scompenso cardiaco con frazione di eiezione conservata in contrapposizione alla definizione di scompenso cardiaco con frazione di eiezione ridotta. Utilizzando la terminologia in lingua inglese sono state coniate le sigle: HFpEF: heart failure with preserved ejection fraction e HFrEF: heart failure with reduced ejection fraction.
La diagnosi di scompenso a FE preservata richiede la documentazione, in genere ecocardiografica, di alterazioni della fase di rilasciamento ventricolare. L’interpretazione di tali alterazioni esula dalle competenze del Medico di Medicina Generale il quale, però, non può ignorarne l’esistenza ed il significato clinico. Lo scompenso cardiaco a FE preservata, infatti, si manifesta prevalentemente in soggetti di età avanzata, generalmente con una storia di ipertensione arteriosa, spesso portatori di una fibrillazione atriale permanente tachicardica che, riducendo il tempo della diastole e abolendo il contributo atriale, determina un ulteriore compromissione del riempimento ventricolare.
Questi pazienti sono abitualmente seguiti in modo prevalente dal Medico di Medicina Generale che, pertanto, ha il compito di identificare tempestivamente i sintomi e i segni che possono fare sospettare la diagnosi di scompenso e avviare l’approfondimento diagnostico.
Per questo è importante che, in presenza di disfunzione diastolica, il referto ecocardiografico, oltre a descrivere le singole alterazioni che la caratterizzano, contenga nelle conclusioni un riferimento esplicito alla disfunzione diastolica con funzione sistolica preservata.
E’ anche importante ricordare che il dosaggio dei peptidi natriuretici non consente di distinguere tra le due forme di scompenso anche se la compromissione della frazione di eiezione si associa generalmente a concentrazioni plasmatiche più elevate. Pertanto, la presenza di valori elevati di PN in un soggetto con contrattilità normale del ventricolo sinistro all’ecocardiogramma deve far porre il sospetto di scompenso cardiaco con FE preservata.
Nella edizione 2016 delle linee guida dalla società europea di cardiologia (ESC) é stata introdotta una terza definizione Scompenso cardiaco a frazione di eiezione intermedia o HFmrEF: heart failure with mid-range ejection fraction per indicare l’area grigia rappresentata dai pazienti con frazione di eiezione compresa tra 40% e 50% ed è stata fornita una tabella che facilita l’inquadramento diagnostico.
Le caratteristiche epidemiologiche, fisiopatologici e cliniche di questa categoria intermedia di pazienti sono il larga misura sconosciute. Si pensa, tuttavia, che si tratti di soggetti con una compromissione modesta della funzione sistolica associata ad una compromissione della funzione diastolica. Per questi pazienti, come per quelli con frazione di eiezione preservata, non sono disponibili terapie di documentata efficacia nel migliorare la prognosi della malattia.
HFmrEF: scompenso con frazione di eiezione intermedia
HFpEF: scompenso con frazione di eiezione preservata
FE: frazione di eiezione
PN: peptidi natriuretici
IVS: ipertrofia del ventricolo sinistro
Lo scompenso cardiaco a frazione di eiezione preservata è una condizione molto comune, riguardante circa la metà dei pazienti con sintomi o segni di scompenso cardiaco.
Secondo le attuali linee guida, la diagnosi richiede, oltre al rilievo di una frazione di eiezione normale o solo modestamente compromessa, anche la documentazione di anomalie strutturali rilevanti e di segni di disfunzione diastolica.
I parametri ecocardiografici utilizzati per definire la funzione diastolica del ventricolo sinistro sono piuttosto complessi e presuppongono conoscenze tecniche che esulano dalle competenze di un Medico di Medicina Generale.
Tra l’altro, nessuno di questi parametri, preso singolarmente, è sufficientemente accurato e riproducibile da consentire la diagnosi di disfunzione diastolica del ventricolo sinistro. Tale diagnosi, pertanto, è il frutto di una valutazione complessiva dell’esame ecocardiografico e deve essere necessariamente formulata in modo esplicito dallo specialista che redige il referto dell’esame.
Uno dei reperti più frequentemente descritto e di più facile comprensione è l’inversione del rapporto E/A registrato sulla velocimetria mitralica.
In condizioni normali, infatti, (immagine a sinistra) la velocità di riempimento del ventricolo sinistro (onda E) è massima all’inizio della diastole, durante la fase di riempimento rapido, per poi decrescere rapidamente e raggiungere un secondo picco (onda A) alla fine della diastole, durante la sistole atriale, la cui ampiezza è inferiore a quella del picco protodiastolico (A<E).
In presenza di un alterato rilasciamento del miocardio ventricolare, l’afflusso del sangue in proto-diastole rallenta e ciò determina una compensazione da parte del contributo atriale. In tali condizioni l’ampiezza dell’onda A diventa maggiore di quella dell’onda E (A>E).
Nei pazienti con frazione di eiezione significativamente ridotta sono stati condotti numerosi studi clinici che hanno documentato l’efficacia, in termini di riduzione dei sintomi, della frequenza delle ospedalizzazioni e della mortalità, di numerose classi di farmaci.
Al contrario, per i pazienti con frazione di eiezione preservata non esistono terapie di comprovata efficacia, in grado di ridurre morbilità e mortalità.
Si ritiene, tuttavia, che questi pazienti possano trarre beneficio dai seguenti interventi:
In particolare, nel controllo della frequenza cardiaca possono essere utili, oltre ai beta-bloccanti, anche i calcio-antagonisti ad azione bradicardizzante (verapamil, diltiazem) considerati invece controindicati nello scompenso cardiaco a frazione di eiezione ridotta per il loro effetto negativo sulla contrattilità (azione inotropa negativa).
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