Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Feb 17, 2015 Gaetano D'Ambrosio Farmaci, Farmaci Dislipidemie, Questioni Pratiche, Questioni Pratiche - Dislipidemie 0
Definizione e significato
La concentrazione dei trigliceridi è un biomarker delle lipoproteine circolanti ricche in trigliceridi e dei loro residui metabolici.
Gli schemi di classificazione tradizionali della HTG hanno utilizzato termini come “HTG familiare” e “iperlipidemia combinata familiare”, implicando un singolo gene o un’eziologia monogenica. Tuttavia, la maggior parte dei casi di HTG è il risultato di molteplici fattori genetici, è cioè di natura poligenica, coinvolgendo la presenza contemporanea di varianti comuni del DNA con effetto piccolo e varianti rare del DNA con effetto ampio. Il rischio di HTG in soggetti suscettibili è ulteriormente aggravato dall’esposizione a fattori secondari non genetici, tra cui fattori relativi allo stile di vita, come il sovrappeso e l’uso di alcol.
L’ipertrigliceridemia lieve o moderata è tipicamente poligenica e determinata dal prodotto di varianti comuni e rare in oltre 30 geni, come quantificato dai risk score genetici. L’ipertrigliceridemia rara autosomica recessiva monogenica può derivare invece da mutazioni ad ampio effetto in sei diversi geni. L’ipertrigliceridemia è aggravata da fattori non genetici.
Sulla base di recenti dati genetici, sono stati ridefiniti due stati ipertrigliceridiemici:
(i) grave (>10 mmol/L o > 885 mg/dl), più probabilmente di origine monogenica
(ii) lieve o moderata (da 2 a 10 mmol/L, o da 177 a 885 mg/dl).
Dato il clustering di alleli di suscettibilità e di fattori secondari nelle famiglie, lo screening biochimico e la consulenza ai membri della famiglia è essenziale, mentre non è giustificato il test genetico di routine.
Significato come fattore di rischio cardiovascolare
Anche se gli studi prospettici e caso-controllo hanno indicato l’elevata concentrazione plasmatica di TG come un fattore di rischio indipendente per la malattia cardiovascolare (CVD), resta qualche incertezza sul ruolo specifico delle lipoproteine ricche di TG nell’aterogenesi. Inoltre, trial con interventi volti a ridurre i livelli di TG hanno riportato effetti contrastanti sugli esiti cardiovascolari e nessun effetto su ictus e mortalità per tutte le cause. Pertanto, la HTG lieve-moderata è spesso vista come un semplice marker di rischio cardiovascolare, mentre la HTG grave rimane un fattore di rischio ben noto per la pancreatite acuta. Sebbene sia indiscutibile la necessità di intervenire in un individuo con HTG grave, è meno chiara la risposta appropriata a una HTG lieve-moderata.
La diagnosi di HTG è importante in quanto:
Trattamento
Il trattamento della HTG ha due obiettivi distinti:
Poiché la HTG è caratterizzata da elevati livelli di remnant di lipoproteine ricche in TG, il colesterolo non-HDL o l’apoB sono considerati obiettivi di trattamento secondari, dopo il colesterolo LDL.
Innanzi tutto é necessario identificare e trattare eventuali cause di ipertrigliceridemia secondaria.
Una volta trattate le cause secondarie, la gestione della HTG lieve-moderata dovrebbe seguire le raccomandazioni delle linee guida, con enfasi iniziale sulla dieta e sull’esercizio fisico.
La terapia non farmacologica è consigliata per le persone con livelli di TG >2 mmol/L (177 mg/dl).
La decisione di iniziare la terapia farmacologica dipende dal grado di aumento dei TG. L’obiettivo del trattamento é stato fissato a <1.7 mal/L (<150 mg/dl) soprattutto se il colesterolo HDL é <1,0 mal/l (<40 mg/dl) negli uomini e <1.2 mal/L (<45 mg/dL) nelle donne. Questi target non sono però supportati da evidenze scientifiche di alto livello.
Gli individui con TG >10 mmol/L(885 mg/dl) richiedono una riduzione immediata e aggressiva dei TG, al fine di minimizzare il rischio di pancreatite acuta, con una dieta rigida a basso contenuto di grassi ed evitando i carboidrati semplici; può essere considerato l’uso di fibrati, niacina o acidi grassi omega-3.
In caso di dolore addominale, il trattamento di una grave HTG comprende l’ospedalizzazione, con cessazione di assunzioni orali e introduzione di misure di supporto.
A causa del vantaggio clinico incerto, le linee guida non sono coerenti per quanto riguarda il trattamento dei pazienti con livelli di trigliceridi tra 2 e 10 mmol/L(885 mg/dl).
Statine
Le statine riducono il colesterolo LDL fino al 55%, portando a una riduzione del rischio cardiovascolare del 23% per mmol/L di abbassamento del colesterolo LDL, indipendentemente dai livelli basali di colesterolo LDL, TG o colesterolo HDL quindi il loro uso in pazienti con HTG è giustificabile sulla base della loro comprovata capacità di ridurre il rischio di malattie cardiovascolari. Esse hanno anche un effetto variabile di riduzione dei livelli di TG fino al 30%, con riduzioni dipendenti dai livelli di TG basali e dalla dose di statina utilizzata. Per conseguire gli obiettivi raccomandati, la scelta della statina dovrebbe essere basata sull’efficacia nella riduzione del colesterolo LDL, tenendo conto del profilo di sicurezza. Nella HTG, dal momento che il colesterolo LDL spesso non può essere determinato, anche il raggiungimento dei target di colesterolo non-HDL o apoB dovrebbe essere un obiettivo di trattamento.
Fibrati
Con un effetto di riduzione dei TG del 40%, a seconda dei livelli basali, i fibrati sono considerati il trattamento di prima linea per ridurre il rischio di pancreatite in caso di livelli di TG >10 mmol/L (885 mg/dl). Anche se controversa, una metanalisi su oltre 45.000 individui suggerisce che i fibrati potrebbero ridurre gli eventi coronarici acuti non fatali e la rivascolarizzazione di circa il 9% (insieme ad una mancanza di effetto complessivo sulla mortalità totale e cardiovascolare e a un aumento non significativo delle morti non cardiovascolari) (41) in particolare in soggetti con TG >2,3 mmol/L e colesterolo HDL <1,0 mmol/L (42). Pertanto un fibrato può essere considerato come terapia aggiuntiva in individui con alti TG e basso colesterolo HDL (3). Tuttavia, nella HTG monogenica, a causa di deficit di LPL e di TG >20 mmol/L, i fibrati hanno beneficio clinico minimo o nullo.
Acidi grassi omega-3
Gli acidi grassi polinsaturi omega-3 a dosi fino a 4 g/die riducono la trigliceridemia fino al 30%, a seconda dei livelli basali e possono quindi essere utili per la prevenzione della pancreatite. Dalla consensus italiana 2014 su diagnosi e trattamento dell’ipertrigliceridemia
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