Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Mar 16, 2015 Giuliana Maria Giambuzzi Novità dalla ricerca, Novità Homepage, Novità Ipertensione Commenti disabilitati su Anziani: la pressione < di 130 mmHg aumenta rischio di mortalità
L’evidenza clinica supporta gli effetti benefici della riduzione della pressione arteriosa (PA) negli individui ipertesi di età superiore agli 80 anni. Tuttavia, studi osservazionali in pazienti anziani fragili hanno mostrato una relazione inversa tra PA e morbilità e la mortalità. Il paziente iperteso molto anziano è un paziente difficile: le modificazioni cardiovascolari legate all’invecchiamento, in particolare la ridotta sensibilità dei barocettori carotidei, predispongono all’ipotensione posturale (a sua volta aggravata dalla ridotta ossigenazione cerebrale, dalle frequenti alterazioni dell’equilibrio e dai possibili deficit sensoriali) in grado di provocare cadute dalle conseguenze spesso gravi. Lo spostamento verso l’alto dei livelli di autoregolazione del flusso ematico cerebrale, accentuato dall’ipertensione, può favorire fenomeni di ipoperfusione cerebrale con importanti sequele neurologiche. Le alterazioni tipiche dell’età inoltre sono spesso accentuate dai danni d’organo correlati all’ipertensione e/o da malattie coesistenti, molto frequenti nei soggetti anziani, manifeste o più spesso latenti, quali scompenso cardiaco, insufficienza renale, insufficienza respiratoria, diabete e patologie cerebrovascolari. Il paziente anziano è inoltre maggiormente suscettibile alla tossicità farmacologica dovuta ad alterazioni farmacocinetiche e farmacodinamiche tipiche dell’età anziana che provocano la riduzione dell’indice terapeutico di molti farmaci infine è opportuno considerare le numerose comorbidità.
L’obiettivo principale dello studio PARTAGE è stato quello di valutare le principali cause di mortalità nei soggetti istituzionalizzati con età superiore agli 80 anni. Obiettivo secondario è stato quello di valutare i valori di PA sistolica e il numero di farmaci antipertensivi utilizzati. A tale scopo è stato eseguito uno studio longitudinale prospettico della durata di 2 anni. I pazienti sono stati reclutati tra gli ospiti delle residenze sanitarie assistenziali (RSA) scelte dai centri di geriatria universitari partecipanti al progetto. E’ stata analizzata la correlazione tra bassi valori di PA sistolica (PA <130 mm Hg), assunzione di terapia antipertensiva in combinazione e mortalità per tutte le cause.
Sono stati reclutati un totale di 1.127 soggetti residenti in RSA della Francia e dell’Italia di età superiore agli 80 anni (età media: 87,6 anni), il 78,1% erano donne. L’automisurazione della PA è stata effettuata con l’aiuto del personale infermieristico delle case di riposo per 3 giorni consecutivi (in media sono state eseguite 18 misurazioni).
Una correlazione significativa è stata riscontrata tra bassi valori di PA sistolica e il trattamento con 2 o più farmaci antipertensivi, con un conseguente maggiore rischio di mortalità nei pazienti con PA sistolica bassa che ricevevano una combinazione di farmaci antipertensivi rispetto agli altri (hazard ratio non aggiustato [HR], 1,81; 95% CI, 1,36-2,41); HR aggiustato, 1,78; 95% CI, 1,34-2,37; entrambi p <.001).
I risultati di questo studio sollevano una nota di cautela per quanto riguarda la sicurezza di utilizzare la terapia antipertensiva in combinazione nei pazienti anziani fragili con bassa PA sistolica (<130 millimetri Hg). Si attendono i risultati di ulteriori studi per valutare il rapporto rischio-beneficio della terapia antipertensiva in questa popolazione di pazienti in continua crescita.
Sulla base delle evidenze scientifiche attuali è indicata la prescrizione del trattamento con farmaci antiipertensivi a pazienti ultraottantenni con PAS >160 mmHg, con l’obiettivo di una riduzione al di sotto di 150 mmHg in particolare tra i 140 e i 150 mmHg. Poiché esistono differenze nello stato di salute generale di ciascun paziente anziano, la decisione di istituire un trattamento deve essere individualizzata, e la riduzione dei valori pressori deve essere in ogni caso graduale e costantemente controllata dal medico. Un trattamento aggressivo della PA nel paziente anziano non ha dimostrato un beneficio in termini di sopravvivenza e riduzione degli eventi cardiovascolari.
Inoltre nell’anziano è opportuno iniziare la terapia con la dose minore di un solo farmaco e aumentarla gradualmente in relazione alla risposta pressoria. Qualunque sia il farmaco utilizzato l’importante è utilizzare inizialmente basse dosi (in media la metà di quella impiegata abitualmente). Prima di aggiungere ulteriori farmaci anti-ipertensivi, valutare e correggere le possibili cause di un’apparente mancata risposta terapeutica, e considerare il fenomeno della “pseudoresistenza”.
Fonte:
Benetos A, Labat C, Rossignol P, Fay R, Rolland Y, Valbusa F, Salvi P, Zamboni M, Manckoundia P, Hanon O, Gautier S.Treatment With Multiple Blood Pressure Medications, Achieved Blood Pressure, and Mortality in Older Nursing Home Residents. The PARTAGE Study. JAMA Intern Med. Published online February 16, 2015. doi:10.1001/jamainternmed.2014.8012
Link:
Il paziente anziano,
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