Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Mar 30, 2015 Chiara Civitelli Novità dalla ricerca, Novità Fibrillazione Atriale, Novità Homepage, Novità Terapia con VKA Commenti disabilitati su Sospensione della terapia anticoagulante: dubbi su bridging
Sull’applicazione della terapia bridging e gli eventi ad essa correlati si sono interrogati gli autori dello studio americano Use and outcomes associated with bridging during anticoagulation interruptions in patients with atrial fibrillation: findings from the Outcomes Registry for Better Informed Treatment of Atrial Fibrillation (ORBIT-AF).
Il trial ha utilizzato i dati estratti dall’Outcomes Registry for Better Informed Treatment of Atrial Fibrillation (ORBIT-AF).
Nello specifico, in un periodo di 2 anni, in una coorte di 7.372 pazienti affetti da fibrillazione atriale (FA) in terapia anticoagulante, gli autori hanno valutato l’incidenza dell’uso della terapia bridging, le cause di interruzione della terapia anticoagulante, il tipo di farmaco scelto per la terapia bridging e gli outcome occorsi nei pazienti sottoposti a bridging rispetto a pazienti non sottoposti a tale terapia.
I risultati hanno riportato 2.803 casi di sospensione della terapia anticoagulante, di cui 665 (24%) sottoposti a terapia bridging e 2.138 (76%) non sottoposti a tale procedura. Tra le principali cause di sospensione sono risultate la chirurgia non cardiaca (27%), altre procedure non meglio specificate (25%) e le procedure endoscopiche (18%).
I pazienti sottoposti a terapia bridging, rispetto a quelli senza tale trattamento, differivano per precedenti eventi cerebrovascolari (22% vs 15%; p= 0,0003) e per la presenza di valvole cardiache meccaniche (9,6% vs 2,4%; p<0,0001), mentre non è stata riscontrata differenza per quanto riguarda il punteggio CHA2DS2-VASc (punteggio ≥ 2 nel 94% vs 95%; P=0,5).
Per quanto riguarda la scelta del farmaco per la bridging, l’eparina a basso peso molecolare (EBPM) è stata somministrata a 487 pazienti (73%), l’eparina non frazionata a 97 pazienti (15%), Fondaparinux a 7 pazienti (1,1%) e altri anticoagulanti non meglio specificati a 76 pazienti (11%).
Dall’analisi degli outcome è emersa una maggiore incidenza di eventi avversi nei soggetti sottoposti a bridging rispetto ai soggetti che hanno interrotto la terapia anticoagulante senza bridging; in particolare sanguinamenti maggiori (3,6% vs 1,2%; p=0,0007), ospedalizzazione per sanguinamenti (2,2% vs 0,7%; p= 0,006) e ospedalizzazione per eventi cardiovascolari (4,2% vs 2,2%; p=0,02).
Dall’analisi multivariata la terapia bridging è risultata associate a un aumentato rischio di eventi avversi, inclusi infarto del miocardio, sanguinamenti, ictus o embolia sistemica, ospedalizzazione, morte entro 30 giorni (OR 1,94; IC 95% 1,38-2,71; p=0,0001).
I dati di questo studio osservazionale confermano innanzitutto quanto frequentemente nella pratica clinica il medico si trovi a dover valutare la sospensione o meno della terapia anticoagulante per svariate procedure; appare sempre più evidente come l’applicazione routinaria della terapia bridging in maniera indiscriminata sottoponga i pazienti a rischi inutili.
La scelta dell’applicazione di tale terapia non può prescindere da una valutazione accurata del rischio trombotico ed emorragico del paziente e della procedura, in modo tale da poter categorizzare la singola situazione e applicare al meglio le linee guida esistenti in merito.
Fonte:
Steinberg BA, Peterson ED, Kim S, Thomas L, Gersh BJ et al. Outcomes Registry for Better Informed Treatment of Atrial Fibrillation Investigators and Patients. Use and outcomes associated with bridging during anticoagulation interruptions in patients with atrial fibrillation: findings from the Outcomes Registry for Better Informed Treatment of Atrial Fibrillation (ORBIT-AF) Circulation. 2015 Feb 3;131(5):488-94. Full text
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