Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Apr 14, 2015 Gaetano D'Ambrosio Novità Cardiopatia Ischemica, Novità dalla ricerca, Novità Homepage, Novità Prevenzione Secondaria Commenti disabilitati su Dubbi sulla durata della doppia antiaggregazione dopo stent medicato
I pazienti sottoposti ad angioplastica coronarica e impianto di stent medicato sono a elevato rischio di restenosi per trombosi intra-stent o ad altre complicanze cardio e cerebro-vascolari, soprattutto nei primi mesi dopo l’intervento.
Per ridurre questo rischio vengono sottoposti a una duplice terapia antiaggregante (DAPT) basata sull’associazione dell’aspirina (ASA) a basso dosaggio con un inibitore piastrinico appartenente alla famiglia delle tienopiridine (clopidogrel, prasugrel, cangrelor e ticagrelor)*.
La durata ottimale della doppia antiaggregazione é ancora oggetto di discussione. Allontanandosi dall’intervento di impianto dello stent medicato, infatti, il rischio trombotico diminuisce e tende a essere sopraffatto dal rischio emorragico, inevitabilmente aumentato dalla duplice terapia.
Gli studi fin qui condotti sulla durata della DAPT hanno dato risultati contrastanti. Per questo è stata effettuata una estesa meta-analisi, Duration of Dual Antiplatelet Therapy After Drug-Eluting Stent Implantation: A Systematic Review and Meta-Analysis of Randomized Controlled Trials, sui dati di 32.135 pazienti inclusi in 10 trial randomizzati che hanno testato efficacia e tollerabilità di due regimi terapeutici di differente durata.
I regimi di più breve durata (S-DAPT), rispetto a quelli di durata maggiore (L-DAPT) sono risultati associati a un maggior rischio di trombosi intra-stent (OR 1,72, IC95% 1.26-2.32, P = 0.001). Il rischio é minore se si considerano i pazienti con stent medicati di seconda generazione (OR = 1.54) rispetto a quelli trattati con stent medicati di prima generazione (OR = 3.94).
I pazienti trattati con S-DAPT hanno mostrato una minore incidenza di emorragie maggiori rispetto ai pazienti trattati con L-DAPT (OR = 0.63, IC95% 0.52 – 0.75, P < 0.001) e una più bassa mortalità per tutte le cause (PR 0.87, IC95% 0.74 – 1.01, P = 0.073).
Gli autori concludono che la durata della doppia terapia antiaggregante deve essere stabilita considerando il profilo di rischio emorragico e tromboembolico del paziente.
Si conferma il presupposto generale alla base dei criteri di valutazione della durata della DAPT ma i dubbi sul comportamento da assumere nel singolo paziente restano.
Alcuni studi europei, non privi di limiti metodologici, l’ITALIC e ISAR-SAFE hanno documentato la non inferiorità della DAPT effettuata per soli 6 mesi rispetto a 12 mesi. In entrambi i casi, però, lo studio é stato interrotto precocemente con una incidenza di eventi inferiore a quella prevista, condizioni che ne hanno ridotto la potenza statistica.
Altri studi, invece, tra cui il PEGASUS-TIMI 54 e il DAPT sostengono l’utilità e la sicurezza di un regime di doppia antiaggregazione anche superiore ai 12 mesi.
Come comportarsi nella pratica?
Le linee guida più recenti sulla rivascolarizzazione miocardica (ESC/EACTS) suggeriscono di praticare la DAPT per almeno un mese dopo impianto di stent non medicato e per 6 mesi dopo l’impianto di uno stand medicato di ultima generazione nei pazienti con cardiopatia ischemica stabile e per un anno nei pazienti che hanno subito una sindrome coronarica acuta.
Probabilmente, come fanno notare molti commentatori, l’atteggiamento più corretto é quello di definire la durata della terapia sulla base delle caratteristiche cliniche del paziente con l’auspicio che la ricerca fornisca strumenti più precisi, basati anche su variabili genetiche, per definire con maggiore accuratezza un regime terapeutico individualizzato.
Allo stato attuale delle conoscenze, al Medico di medicina generale spetta il compito di sorvegliare attentamente i pazienti in DAPT e sostenerne l’aderenza alla terapia sottolineando i rischi di una interruzione precoce.
Infine, non si può fare a meno di sottolineare che, se vi sono ancora incertezze sulla durata della DAPT, la letteratura é unanime sulla opportunità di protrarre indefinitamente la terapia con ASA in tutti i pazienti in prevenzione secondaria. Ciò nonostante, molte osservazioni, provenienti anche dalla Medicina Generale Italiana documentano una aderenza a lungo termine non ottimale alla terapia antiaggregante con ASA a basse dosi. Per questo é sempre opportuno ribadire i rischi per la salute del paziente e le possibili implicazioni medico-legali per il medico derivanti dalla mancata attuazione di questo importante intervento preventivo.
(*) Le tienopiridine sono antiaggreganti piastrinici in grado di inibire l’attività del recettore adenosinico P2Y12. Il primo farmaco sintetizzato appartenente a questa categoria è stata la ticlopidina, oggi poco utilizzata per via dei suoi effetti collaterali. Successivamente sono state sintetizzate tienopiridine il clopidogrel ed il prasugrel. Esistono poi altre due molecole “non tienopiridiniche”, ovvero con una diversa struttura molecolare, in grado anch’esse di inibire l’attività del P2Y12, il cangrelor e il ticagrelor.
Fonte:
Duration of Dual Antiplatelet Therapy After Drug-Eluting Stent Implantation: A Systematic Review and Meta-Analysis of Randomized Controlled Trials. Giustino G, Baber U, Sartori S, Mehran R, Mastoris I, Kini AS, Sharma SK, Pocock SJ, Dangas GD.J Am Coll Cardiol. 2015 Apr 7;65(13):1298-310
Immagine fonte. Venini clessidra
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