Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Giu 24, 2015 Gaetano D'Ambrosio Farmaci, Farmaci Prevenzione primaria, Farmaci Prevenzione secondaria, Novità dalla ricerca, Novità Homepage, Novità Prevenzione Primaria, Novità Prevenzione Secondaria Commenti disabilitati su Aspirina in prevenzione cardiovascolare: serve uso corretto
La terapia antiaggregante con aspirina (ASA, acido acetilsalicilico) a basse dosi é uno dei più importanti interventi terapeutici in ambito cardiovascolare. La sua efficacia nella prevenzione di eventi cardiovascolari maggiori è molto elevata ma può essere largamente compromessa da una sottoutilizzazione o da un uso non corretto del farmaco. Ce lo ricorda uno studio recentemente pubblicato su International Journal of Cardiology a testimonianza di quanto grande sia sempre l’interesse nei confronti di questa molecola.
L’ASA é un punto fermo nella prevenzione cardiovascolare secondaria, ovvero nel trattamento dei pazienti che hanno già subito un evento o sono stati sottoposti a procedura di rivascolarizzazione coronarica. Nelle prime fasi dopo un evento acuto sono stati proposti, con non poche incertezze, vari schemi di terapia antitrombotica, caratterizzati dalla associazione di due o più molecole, ma l’ASA a basse dosi rimane il denominatore comune di tutte le opzioni.
Recenti osservazioni sembrano supportare un ruolo dell’aspirina anche nella prevenzione oncologica con effetti favorevoli sul cancro colo-rettale, ovarico ed endometriale.
Meno netta é l’indicazione nell’ambito della prevenzione primaria dove un elevato profilo di rischio cardiovascolare del paziente rappresenta l’elemento che può far pendere la bilancia rischio / beneficio a favore della riduzione del rischio cardiovascolare rispetto all’incremento del rischio emorragico.
La fenomenologia dell’uso non ottimale dell’ASA é relativamente complessa. Bisognerebbe distinguere la sotto-utilizzazione, la non-aderenza e l’interruzione della terapia. Nel primo caso la responsabilità é del medico che, per motivi molto diversi, può non prescrivere l’ASA a tutti i pazienti per i quali é teoricamente indicata.
La non-aderenza caratterizza il comportamento del paziente che può non seguire, parzialmente o totalmente, le indicazioni del medico. Infine l’interruzione della terapia può essere l’estrema conseguenza della non-aderenza o una scelta, temporanea o permanente, concordata con il medico per varie ragioni.
Qualunque siano le modalità e le cause, l’utilizzo sub-ottimale della terapia antiaggregante con aspirina é un fenomeno frequente e non privo di conseguenze.
Molti studi hanno documentato percentuali di sottoutilizzazione dell’ASA estremamente variabili. Sono disponibili dati della medicina generale italiana, provenienti dal database di Health Search che dimostrano come la persistenza ad un anno della terapia con ASA sia solo del 23.4% e che anche nei pazienti con infarto miocardico recente la prevalenza d’uso della terapia antitrombotica non supera il 75% e tende a declinare ulteriormente nel tempo. Questi dati appaiono particolarmente drammatici se si considera che la non-aderenza o la sospensione della terapia antiaggregante in pazienti nei quali é, ovviamente, indicata, triplica il rischio di eventi cardiovascolari.
Come fronteggiare questa pericolosa situazione?
Le soluzioni proposte sono molto varie e si riferiscono sia al medico sia al paziente. L’uso di reminders elettronici, l’adozione di una polipillola in modo da semplificare lo schema terapeutico, l’associazione con un inibitore della pompa protonica, tra gli altri, sembrano provvedimenti in grado di migliorare l’aderenza alla terapia. Tuttavia la letteratura in merito é scarsa e spesso basata su valutazioni qualitative o su indagini retrospettive.
Da parte del medico le criticità sembrano essere legate alla difficoltà di adattare le generiche indicazioni delle linee guida alle specifiche necessità del singolo paziente e alla complessità degli interventi che dovrebbero essere adottati in soggetti spesso pluriproblematici in un contesto operativo nel quale la risorsa tempo é generalmente scarsa.
Una speranza può derivare dalla prospettata riorganizzazione della Medicina Generale. In un contesto operativo più complesso e meglio organizzato nel quale al Medico di Medicina Generale si attribuiscono nuove competenze e si affiancano altre figure professionali, dovrebbe essere possibile effettuare regolarmente audit periodici sugli archivi informatici e soprattutto attuare procedure di medicina di iniziativa volte ad identificare i pazienti problematici ed intervenire su di essi in modo specifico e con atteggiamento proattivo.
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