Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Prevenzione, gestione dell’acuto e riabilitazione in tempi rapidi. Questa la strategia individuata per la giornata mondiale dell’ictus (stroke) che si celebra, come ogni anno, il 29 ottobre. L’ictus colpisce ogni anno circa 200mila persone in Italia e nel 30% dei casi comporta danni che compromettono seriamente la qualità della vita di una persona, dei suoi familiari e della società. A soffrire sono soprattutto le donne a livello quantitativo e qualitativo e per questo è dedicata a loro il World Stroke day 2015.
Nel 2008 in Italia solo lo 0,7% dei casi di ictus veniva adeguatamente trattato. Oggi la percentuale è del 6,5% a livello nazionale, 13% in Lombardia.
Sono numeri che segnalano un’evoluzione importante, ma la percentuale potrebbe arrivare presto al 35% e oltre con la giusta strategia.
L’ictus, che irrompe improvvisamente nella vita di una persona può essere evitato o risolto agendo tempestivamente su ciascuna delle 3 fasi: prevenzione, acuto e riabilitazione.
Nel corso di un incontro con la stampa possono da A.L.I.Ce Lombardia (Associazione per la Lotta all’Ictus Cerebrale), si sono ritrovanti intorno allo stesso tavolo pazienti, neurologi, cardiologi, medici di medicina generale e rappresentanti delle istituzioni. Tra le attività promesse dall’asssociazione, la possibilità di effettuare uno screening gratuito il giorno 29 ottobre in piazza Cordusio a Milano con il controllo della pressione e della fibrillazione atriale (tecnologia Microlife AFIB).
Prevenzione. Un terzo dei pazienti di ogni MMG è a rischio di ictus
Solo il 50% degli italiani sa cosa sia l’ictus e una percentuale bassissima sa indicarne i sintomi. Il primo passo è quindi l’informazione sui fattori di rischio (fibrillazione atriale, ipertensione, dislipidemia, diabete) e sui sintomi .
“L’attività preventiva– sostiene Ovidio Brignoli, Vice Presidente SIMG, Società Italiana di Medicina Generale – andrebbe attuata su più livelli. In primo luogo con il monitoraggio delle patologie cardiovascolari su una popolazione “sana” con fattori di rischio predisponenti. Una volta, poi, che un fattore di rischio è stato identificato, ad esempio la Fibrillazione Atriale, è importante impostare un adeguato piano terapeutico, monitorando la persistenza e l’aderenza alla terapia, la sorveglianza degli eventi avversi, il trattamento di eventuali comorbilità extra cardiache (respiratorie, endocrine, metaboliche, ecc.)”. La fibrillazione atriale (FA), che interessa l’1-2% della popolazione (1 milione di persone nel nostro Paese), aumenta di circa 5 volte il rischio di isctus ischemico ed è responsabile del 15% di tutti gli ictus cardio-embolici (30% negli ultraottantenni). Gli ictus collegati alla FA sono più gravi e provocano invalidità maggiore rispetto agli eventi che colpiscono chi non ne è affetto.
I dati disponibili in Italia indicano un sotto-trattamento dei pazienti con fibrillazione atriale, anche in quelli ad alto rischio. Circa il 50% dei pazienti, soprattutto anziani, nonostante una chiara indicazione all’anticoagulazione, non riceve alcuna cura specifica
“La prevenzione delle complicanze tromboemboliche – spiega Fabrizio Oliva, Responsabile dell’Unità Coronarica presso l’Ospedale Niguarda Ca’Granda di Milano e Presidente Sezione Regionale ANMCO Lombardia – si basa sull’uso degli anticoagulanti orali (Antagonisti della Vitamina K e i nuovi anticoagulanti orali), mentre la prescrizione di antiaggreganti piastrinici, spesso usati, conferiscono una protezione limitata. Gli antagonisti della vitamina K (warfarin) hanno dimostrato, in una recente metanalisi, di ridurre il rischio del 64%. Servono però spesso i controlli del livello di coagulazione. La recente introduzione dei nuovi anticoagulanti orali (NAO) ha reso disponibili farmaci che non necessitano di un controllo routinario della coagulazione, sono più maneggevoli, evidenziano una riduzione delle emorragie intracraniche, dimostrando un buon rapporto costo/efficacia”.
“La disponibilità dei NAO – conclude Oliva – consentirebbe, quindi, di rispondere ad un bisogno clinico ancora oggi insoddisfatto, ottenendo un importante risparmio di risorse economiche legato alla migliore prevenzione degli eventi cerebrovascolari e delle sequele invalidanti associate, la riduzione delle emorragie intracraniche, così come evidenziato dai trial clinici di confronto tra i nuovi anticoagulanti orali e il warfarin, evitando al paziente il monitoraggio periodico richiesto del warfarin”.
Evento acuto. Il tempo è cervello
Nell’ictus ischemico (80% degli ictus), la terapia ha successo se la rimozione del coagulo dall’arteria intracranica avviene in una finestra temporale tra 4 e 6 ore. Ogni minuto è prezioso perché prima si ristabilisce il flusso di sangue, meno danni ci saranno. In presenza dei sintomi come l’emiparesi facciale, i migliori risultati si ottengono attenendosi a 3 regole:
1- Chiamare il 118 (112)
2-Applicare il “codice ictus” al trasporto
3-Confermare il “codice ictus” al triage del Pronto soccorso.
Purtroppo oggi il 30% dei pazienti si presenta con mezzi propri all’ospedale, rubando tempo al percorso virtuoso sopra indicato.
Dal punto di vista delle innovazioni terapeutiche ci sono stati enormi progressi negli ultimi 10 anni, grazie alla trombolisi sistemica (farmaci capaci di sciogliere i trombi nell’arteria cerebrale). Un balzo in avanti si è registrato in questi ultimi mesi con l’avvento della tecnica della trombectomia meccanica (l’asportazione con stent del trombo). “La combinazione di queste due procedure – spiega Elio Clemente Agostoni, capofila nella realizzazione delle linee nazionali e nell’introduzione della tecnica come direttore della Neurologia e Stroke Unit dell’Ospedale Niguarda Ca’Granda di Milano- in tutti gli studi clinici, ha dimostrato un’efficacia decisamente superiore rispetto alla sola trombolisi venosa. Tuttavia resta fondamentale intervenire entro 4 ore dall’insorgenza dei primi sintomi nel caso della sola trombolisi e fino a 6 ore se si effettua la combinazione con la trombectomia meccanica”.
Se le tre condizioni sopra indicate si verificassero contemporaneamente nello stesso paziente nella sola Lombardia, si passerebbe “dal 13% al 35% dei pazienti trattati – dice Agostoni – . Se poi consideriamo quelli che sono già nella finestra terapeutica, l’attuale percentuale salirebbe dal 32% al 48%. Se, infine, riuscissimo a praticare insieme alla trombolisi venosa anche la trombectomia meccanica, avremmo un risultato ancora superiore.”
Se da un punto di vista clinico, l’efficacia dell’integrazione delle due terapie è notevole, da un punto di vista organizzativo, non tutti i Centri sono pronti a praticare questa doppia procedura. “I Centri – spiega Agostoni – devono avere le caratteristiche proprie delle stroke unit di 2° livello. A livello nazionale mancano 250 neurologi dedicati e neurointerventisti capaci di aggiungere la seconda azione terapeutica per offrire questa terapia 24 ore su 24 per 365 giorni l’anno”. Nei prossimi mesi partirà all’Università Bicocca di Milano un master di secondo livello per la formazione di queste nuove figure professionali
Riabilitazione e riorganizzazione
Nel post-ictus è necessario individuare un adeguato percorso di riabilitazione. Il MMG ha sicuramente un ruolo di accompagnamento e sorveglianza. In una logica di continuità assistenziale tra ospedale e territorio non si può prescindere da una “stretta collaborazione tra specialista e MMG”, ha osservato Brignoli.
“Serve una riorganizzazione delle risorse sul territorio, lavorare in rete, misurare gli esiti”, ha dichiarato Fabio Rizzi, Presidente III Commissione permanente Sanità e Politiche Sociali, Consiglio Regione Lombardia. “Riscrivere l’organizzazione sul territorio è un lavoro che richiede la stretta collaborazione con tutti gli attori: specialisti, MMG e pazienti”.
La spesa per un riassetto delle strutture sanitarie coinvolte e un adeguato impegno di risorse “sarà compensata dai minori costi indotti dall’abbattimento della mortalità e soprattutto della disabilità residua all’ictus”, spiega Vittorio Crespi, Neurologo – Componente del Comitato scientifico di ALICe Lombardia e di ALICe Brianza. “La nostra Associazione – afferma Fabrizio Carletti presidente di ALICe Lombardia – è consapevole che la riduzione dei danni conseguenti all’ictus passa attraverso un intervento di sistema e quindi ritiene doveroso rivolgersi alle Istituzioni affinché realizzino modalità di assistenza integrata ospedale-territorio, in grado di garantire cure appropriate a tutto campo”.
L’importante è dare vita ad un vero lavoro “di squadra”, colmando il gap esistente a livello informativo e organizzativo, per una gestione ottimale di tutti i fattori che possono ridurre l’incidenza e la disabilità dell’ictus.
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