Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Dic 16, 2015 Gaetano D'Ambrosio Casi clinici, Ipertensione arteriosa (CC) Commenti disabilitati su Dottore mi aiuti, mia moglie non mi fa dormire!
Non accade spesso che sia il marito a trascinare in ambulatorio la signora ma questa volta Vito non ne può più perché la sua Teresa non lo fa dormire e lui deve alzarsi molto presto la mattina. “Ha sempre avuto il sonno pesante – racconta il marito – ma da un paio di mesi a questa parte russa in maniera insopportabile”.
Teresa è una donna di 64 anni, francamente obesa, ipertesa in trattamento con:
– ramipril 5 mg 1 cp al mattino
– amlodipina 10 mg 1 cp dopo pranzo
– doxazosina 4 mg 1 cp alla sera
– Assume inoltre diclofenac retard 150 mg al bisogno per la sua gonartrosi.
Non viene spesso in ambulatorio e si sottopone raramente a controlli. Gli ultimi esami di laboratorio, eseguiti circa un anno fa, sono sostanzialmente normali, compresi creatinina, TSH ed elettroliti. L’ultimo valore pressorio registrato in cartella risale a 6 mesi fa: 140/90 mmHg. Time's up
Le controllo la pressione trovando, dopo aver ripetuto 3 volte la misurazione, 160/105 mmHg con la frequenza di 72 battiti al minuto. La signora confessa di aver trovato un valore analogo circa un mese fa quando, accusando capogiri, si é fatta controllare la pressione da un vicino che ha un apparecchio per l’automisurazione
La risposta corretta è la scarsa compliance (risposta D). E’ una delle più frequenti condizioni che determina l’insuccesso terapeutico causando uno stato di “pseudo – resistenza”. Tra le cause più frequenti vi sono lo schema terapeutico complesso e la sostituzione tra generici.
Nel nostro caso, dopo una attenta analisi delle prescrizioni effettuate, é emerso un possibile sottoutilizzo della amlodipina e del ramipril. La signora ha confessato che spesso dimentica di assumere la compressa dopo pranzo e che si confonde facilmente tra le due pillole, quella del mattino e quella del pomeriggio, perché il farmacista le cambia spesso il colore della scatola.
Proviamo a sostituire ramipril e amlodipina con una associazione da assumere al mattino ed istruiamo la paziente a non accettare sostituzioni tra farmaci equivalenti.
Le modifiche allo schema terapeutico sortiscono l’effetto voluto confermando la scarsa compliance come causa dell’insuccesso terapeutico. In ogni caso, anche alcune delle altre risposte sarebbero state ipotesi plausibili.
Il mancato compenso pressorio (risposta A) nonostante l’impiego di tre farmaci a dosaggio pieno potrebbe far pensare a una ipertensione resistente anche se le linee guida richiedono che uno dei tre farmaci sia un diuretico.
La risposta non é scorretta, tuttavia, prima di dichiarare una ipertensione resistente é bene valutare altre possibilità.
L’abuso di FANS (risposta B) è un’potesi plausibile. I FANS possono determinare aumento dei valori pressori e danno renale con vari meccanismi. Nel caso di Teresa, una verifica condotta sia anamnesticamente che in base alle prescrizioni di diclofenac (solo due pezzi negli ultimi sei mesi) ci consentono di escludere questa ipotesi.
Il forte russamento notturno (risposta C), che ha portato all’esasperazione del marito di Teresa, potrebbe essere correlato a una sindrome delle apnee notturne, patologia frequente nei soggetti obesi. In questi pazienti spesso si riscontra una ipertensione stabile resistente alla terapia con valori elevati durante le ore notturne. Nel caso di Teresa il russamento notturno non era associato a fasi di apnea né a sonnolenza diurna. L’esame polisonnografico ha escluso la presenza di desaturazioni notturne mentre l’ABPM ha mostrato un profilo pressorio da ipertensione non controllata ma caratterizzato dal calo fisiologico notturno.
La reazione da camice bianco (risposta E) provoca un aumento anche considerevole dei valori pressori misurati in ambulatorio causando una forma di “pseudo-resistenza”.
Nel nostro caso, però, l’ipotesi é poco plausibile. Il medico, infatti, ha effettuato più misure successive senza notare variazioni significative dei valori pressori. Inoltre, valori elevati sono stati riscontrati anche al di fuori dell’ambulatorio, nel controllo che la paziente ha effettuato dal vicino di casa. Infine, l’assenza di una reazione di allarme é stata confermata dall’ABPM che non ha segnalato valori particolarmente elevati nelle prime (e nelle ultime) misurazioni effettuate quando la paziente si é recata dal medico.
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