Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Dic 03, 2015 Redazione News, Novità dalla ricerca, Novità Dislipidemie, Novità Homepage 0
I dati dell’indagine “Colesterolo, una questione di famiglia” dedicata al’ipercolesterolemia familiare e realizzata Cittadinanzattiva, sono stati presentata a Roma lo scorso 26 novembre. L’ipercolesterolemia familiare, patologia ancora poco conosciuta, diagnosticata e trattata, colpisce 250 mila italiani, ma solo l’1% della popolazione che ne è affetta ha avuto una diagnosi, mentre in Olanda si arriva al 71% delle diagnosi e in Norvegia al 43%.
Realizzata attraverso le reti del Tribunale per i diritti del malato e del CnAMC (Coordinamento nazionale delle Associazioni dei Malati Cronici) con il contributo non condizionato di Sanofi, l’indagine aveva l’obiettivo di rilevare il livello di consapevolezza rispetto all’ipercolesterolemia familiare e ai suoi rischi, nonché la qualità delle cure ricevute dai pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare e le criticità nella gestione quotidiana dei sintomi.
Il progetto è stato condotto attraverso un questionario rivolto ai cittadini compilato nel sito internet di Cittadinanzattiva o somministrato direttamente. Sono stai completati 1317 i questionari su 46 domande in 8 gli ambiti: domande generali, dislipidemie e ipercolesterolemia familiare, difficoltà della persona e della famiglia, prevenzione, diagnosi, percorso di cura, gestione e monitoraggio della malattia, terapia, umanizzazione.
Meno della metà conosce la patologia
Un terzo del campione identifica correttamente le dislipidemie come una malattia legata al sovrappeso; poco meno della metà (45%) riconosce l’ipercolesterolemia familiare come una elevata concentrazione di colesterolo nel sangue, ma solo poco più di un terzo (34,6%) sa che è di origine genetica.
Il MMG ne diagnostica il 30%, dei casi, ma il 15% non indaga i familiari
Più di un cittadino su dieci ha avuto il primo sospetto di ipercolesterolemia familiare cercando sul web sentendone alla tv o leggendone sui giornali; il 40% ha indagato grazie al fatto di avere un familiare già affetto, il 29,4% è stato invece diagnosticato dal medico di famiglia; solo l’1,5% ha avuto diagnosi in età infantile grazie al pediatra di famiglia. Dopo la prima diagnosi, il 60% afferma che i familiari sono stati sottoposti agli esami diagnostici, ma c’è anche un 15% che dichiara che il proprio medico non ha ritenuto necessaria l’estensione degli stessi a tutta la famiglia.
Criticità
Oltre un paziente su tre ha difficoltà nell’individuare uno specialista e quasi il 39% dichiara che c’è poca collaborazione tra specialista e medico di famiglia. Più di un paziente su quattro (26,5%) lamenta la carenza di reparti o centri specializzati e le conseguenti lunghe liste d’attesa per visite ed esami (12%).
Il 23% di chi ha ricevuto una diagnosi di ipercolesterolemia non ha una terapia.
Nell’83% dei casi hanno una terapia farmacologica. Non allo stesso modo viene, invece, prescritta la dieta (68,3%) e l’attività fisica (65,6%). Quasi un paziente su quattro (21%) dichiara di non essere stato sottoposto a ulteriori accertamenti.
Solo l’1,8% ha partecipato a corsi di formazione per la gestione della patologia. Inoltre, il 23% dichiara di aver avuto difficoltà a monitorare la malattia, per liste di attesa troppo lunghe (45%), o perché gli esami sono a pagamento (25%). Il 15,6% lamenta il costo eccessivo della terapia farmacologica. Anche i genitori dei pazienti più piccoli segnalano un problema di costi: il 12,9% dice che l’esenzione non copre tutte le prestazioni sanitarie di cui il bambino avrebbe bisogno e il 12% dichiara che il carico assistenziale è troppo oneroso. Così, quasi uno su cinque (19%) si dice costretto a rinunciare ad alcuni esami o visite.
Emerge che i pazienti affetti da ipercolesterolemia familiare chiedono non solo un miglioramento nella qualità delle cure, ma soprattutto una migliore e più umana gestione della patologia, affinché, come scrive uno degli intervistati “…il malato innanzitutto non debba sentirsi tale”.
La prevenzione primaria
Metà degli intervistati dichiara di avere difficoltà nello svolgere una regolare attività fisica, circa il 42% a seguire una corretta alimentazione ed il 18,2% ad abbandonare la cattiva abitudine del fumo. Cambiare lo stile di vita poco salutare non è facile, a causa dell’abitudine a una vita sedentaria (24,8%) ma anche perché l’attività a pagamento è costosa (20,7%), perché mangiare sano è faticoso ( 24%). La prevenzione è lasciata alla “buona volontà” del singolo individuo e non incentivata né sotto il profilo formativo ed informativo, né sotto il profilo economico, né tantomeno quello psicologico.
Cittadinanzattiva, nel promuovere una corretta informazione sull’ipercolesterolemia familiare e sul ruolo dello stile di vita presso medici e pazienti, chiede alle Istituzioni competenti di valutare l’opportunità di promuovere programmi di screening organizzato sulla popolazione a rischio, analizzando modelli internazionali in essere come ad esempio l’Olanda, sulla base della EBM e dell’applicazione di un rigoroso processo di Health Technology Assessment.
Fonte
“Colesterolo, una questione di famiglia”, presentata l’Indagine civica. Cittadinanzattiva. 26 novembre 2015
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