Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Apr 19, 2016 Gaetano D'Ambrosio Farmaci, Farmaci Ipertensione, Novità dalla ricerca, Novità Homepage, Novità Ipertensione, Novità Prevenzione Primaria Commenti disabilitati su Ipertensione: meglio trattare i pazienti con pressione superiore ai 160 mmHg
L’efficacia preventiva della terapia ipotensiva in soggetti con valori di pressione sistolica superiori a 160 mmHg ed in quelli ad alto rischio cardiovascolare é stata ben documentata. Non altrettanto si può dire riguardo ai soggetti a rischio cardiovascolare intermedio e a quelli con valori pressori più bassi.
Lo studio HOPE-3 é stato disegnato con l’intento di esplorare l’area grigia costituita da questa ampia popolazione di soggetti ed in particolare di verificare l’efficacia preventiva di un trattamento ipocolesterolemizzante (rosuvastatina 10 mg), ipotensivo (candesartan/idroclorotiazide 16/12.5 mg) o di entrambi confrontati con il placebo.
Lo studio ha arruolato e seguito, con un follow-up mediano di 5.6 anni, 12705 pazienti a rischio cardiovascolare intermedio, di età > 55 anni se uomini, > 65 se donne, esenti da malattia cardiovascolare ma con almeno uno tra i seguenti fattori di rischio: fumo, disglicemia, storia familiare di malattia cardiovascolare precoce, HDL basse, rapporto vita/fianchi aumentato, moderata disfunzione renale.
L’articolo recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine riporta i risultati relativi al braccio dello studio che ha confrontato candesartan/idroclorotiazide e placebo. In condizioni basali i valori medi di pressione arteriosa (PA) erano 138.1/81.9 mmHg.
I pazienti trattati con candesartan/idroclorotiazide hanno avuto una riduzione media delle pressione PA pari a 10/5.7 mmHg, quelli trattati con placebo di 4/2.7 mmHg per cui il beneficio netto é risultato di soli 6/3 mmHg. In termini di esiti il trattamento ipotensivo non ha prodotto alcun beneficio sia considerando il primo outcome composito (morte cardiovascolare, infarto miocardico, ictus) che il secondo (come il primo più scompenso cardiaco, rivascolarizzazione, arresto cardiaco).
Un beneficio si é osservato, invece, nei pazienti che avevano valori di sistolica superiori a 143.5 mmHg (terzile superiore, media 154.1 mmHg) con una riduzione di entrambi gli outcome rispettivamente del 27% e del 24%. Nei pazienti con PA sistolica < 131.5 mmHg vi era una tendenza verso un peggioramento degli outcome che però non raggiungeva la significatività statistica.
In conclusione, i risultati di questo studio sembrano indicare che un trattamento ipotensivo, effettuato con l’associazione candesartan/idroclorotiazide, in pazienti a rischio cardiovascolare intermedio, é utile solo se la pressione arteriosa sistolica é superiore a 140 mmHg. Nei pazienti con pressione sistolica inferiore a 130 mmHg il trattamento potrebbe essere dannoso.
Questo risultati sembrano essere in contraddizione con quelli del recente studio SPRINT che ha dimostrato i benefici clinici ottenibili perseguendo obiettivi pressori ambiziosi (120 mmHg di sistolica).
In realtà bisogna considerare che i due studi sono molto diversi per disegno e popolazione studiata. Nessun paziente dello studio SPRINT aveva in condizioni basali valori pressori inferiori a 130 mmHg.
D’altra parte, nello studio HOPE-3, la terapia ipotensiva era prestabilita e non veniva modificata per perseguire uno specifico target pressorio. Ciò ha comportato una riduzione pressoria relativamente modesta e comunque di entità inferiore a quella ottenuta nello studio SPRINT. Inoltre i pazienti dello HOPE-3, pur non escludendo i diabetici, avevano un profilo di rischio significativamente più basso.
Pertanto, sembra di poter affermare che é utile trattare i pazienti con valori pressori di base più elevati, perseguendo anche obiettivi pressori ambiziosi, mentre é inutile o addirittura potenzialmente dannoso trattare i pazienti con valori pressori normali (< 130 mmHg di sistolica) in assenza di rischio cardiovascolare elevato.
Fonte
Blood-Pressure and Cholesterol Lowering in Persons without Cardiovascular Disease April 2, 2016DOI: 10.1056/NEJMoa160017.
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