Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Giu 24, 2016 Redazione Farmaci, Farmaci Ictus -Tia, Novità dalla ricerca, Novità Fibrillazione Atriale, Novità Homepage, Novità Ictus Tia Commenti disabilitati su Trombolisi in paziente con ictus ischemico in terapia con dabigatran? Si con idarucizumab. Case report
La trombolisi sistemica entro le prime 4 ore e mezza dalla comparsa dei primi segni e sintomi di un ictus ischemico acuto, costituisce una opzione terapeutica di straordinaria importanza e utilità per ridurre sia la mortalità sia, soprattutto, la disabilità legata all’evento vascolare cerebrale.
Sebbene ultimamente in aumento, tuttavia, sono ancora relativamente pochi i pazienti che si possono giovare di questa terapia. Alcune cause che ne impediscono l’accesso sono di tipo organizzativo, compreso il ritardo nell’accesso ai dipartimenti di emergenza, ma altre sono dovute a vere e proprie limitazioni cliniche, come ad esempio l’uso nella terapia abituale di farmaci antitrombotici.
Come è noto l’ictus cerebrale ischemico colpisce maggiormente le fasce più anziane della popolazione, pazienti quindi, già in terapia con altri trattamenti e assumere abitualmente farmaci anti aggreganti piastrinici (ASA, clopidogrel) oppure anticoagulanti orali (NAO) non è una evenienza infrequente. D’altra parte, l’ictus ischemico si può verificare anche in corso di terapia, basti pensare alla eventualità della comparsa di un ictus lacunare anche in pazienti in corretto trattamento anticoagulante perché affetti da fibrillazione atriale oppure ad un ictus cardio embolico in pazienti in terapia con antiaggreganti piastrinici. Ovviamente, in questi pazienti diventa piuttosto problematica la somministrazione della trombolisi sistemica perché il rischio di conseguenze emorragiche a livello cerebrale potrebbe essere notevolmente aumentato compromettendone, quindi, la stabilità e la sicurezza.
Mentre le linee guida stabiliscono con una certa precisione come i pazienti in terapia anticoagulante orale con warfarin possano essere sottoposti a trombolisi se il valore dell’INR scende sotto 1,7, altrettanto non si può dire per i pazienti in terapia con gli anticoagulanti orali diretti, non antagonisti della vitamina K. Pur essendo possibile effettuare delle indagini di laboratorio, che in modo specifico tendono a individuare i livelli di attività anticoagulante, specifici per i vari farmaci, la decisione di somministrare la trombolisi sistemica in questi casi è praticamente lasciata al giudizio degli esperti.
Efficacia e sicurezza dei nuovi anticoagulanti orali (NAO) rispetto all’anticoagulante storico di scelta, warfarin, nella prevenzione dell’ictus (stroke) nei pazienti con fibrillazione atriale sono state indagate recentemente anche in una a meta-analisi britannica su 12 trial clinici randomizzati controllati di fase II e III per unn totale di 77.011 soggetti.
I NAO hanno dimostrato una riduzione di ictus o di eventi embolici sistemici del 15% (odds ratio, OR: 0,85; CI 95% 0,75 a 0,98), una riduzione del 52% di emorragia intracranica (OR: 0,48; 95% CI 0.40 al 0,57) e una riduzione della mortalità del 14% (OR: 0,86). Nonostante la protezione offerta, l’evento ischemico purtroppo può accadere.
La recente introduzione nell’armamentario terapeutico di idarucizumab , un anticorpo monoclonale in grado di antagonizzare in pochi minuti dall’effetto anticoagulante del dabigatran, ha indotto alcuni ricercatori tedeschi a proporre l’ipotesi di un percorso clinico basato sulla somministrazione di questo anticorpo monoclonale in un paziente in terapia cronica con dabigatran presentatosi al pronto soccorso con un ictus ischemico in fase acuta, per poter bloccare l’effetto anticoagulante residuo di dabigatran e somministrare la trombolisi sistemica.
Case report
I ricercatori tedeschi hanno descritto il caso di un paziente di genere maschile di 76 anni di età presentatosi verso le 9:30 del mattino al pronto soccorso dell’ospedale per una afasia ad inizio improvviso.
La sua storia clinica era costituita da un ictus cerebrale cardio embolico avvenuto tre anni prima, risoltosi spontaneamente senza troppe sequele cliniche. Veniva allora diagnosticata una fibrillazione atriale non valvolare e il paziente veniva posto in terapia con dabigatran 110 mg due volte al giorno. Fra i fattori di rischio concomitanti, si segnalavano: ipertensione arteriosa e diabete mellito però controllato con la sola dieta. Il paziente, iinoltre, era portatore di un pacemaker impiantato quattro anni prima per episodi di bradiaritmie.
L’uomo giungeva in pronto soccorso circa due ore e mezza dopo l’inizio dei sintomi. L’esame neurologico evidenziava, oltre alla afasia totale, un neglect a destra e una iniziale emiparesi brachio-facciale sempre a destra. La TC dell’encefalo non evidenziava lesioni emorragiche ma soltanto la precedente area ischemica già nota. La determinazione del tempo di protrombina parziale attivata (aPTT) era di 73,3 secondi: ampiamente al di sopra del range di normalità considerato fra 20 e 40.
Non potendo essere somministrata la trombolisi sistemica in queste condizioni, i medici prendevano la decisione di somministrare idarucizumab 5gr in bolo intravenoso e dopo cinque minuti somministrare r-tPA 69 mg in bolo, seguito da 0,9 mg/Kg.
La sintomatologia progressivamente migliorava sino alla totale regressione al mattino successivo con un sostanziale successo della terapia trombolitica.
Conclusioni
Lo studio RE-VERSE AD ha ampiamente dimostrato l’efficacia dell’anticorpo idarucizumab nell’annullare l’effetto anticoagulante di dabigatran, tuttavia il suo impiego è prevalentemente prescritto nell’antagonizzare l’effetto del NAO in corso di emorragie, soprattutto del tratto gastro enterico.
In realtà, il suo utilizzo per bloccare l’effetto di dabigatran ai fini della somministrazione della trombolisi non è del tutto ancora codificato ma questa ipotesi di lavoro è estremamente suggestiva e apre il campo a ulteriori considerazioni e impiego anche in questo settore.
Anche se si tratta di un caso isolato, questo episodio dimostra chiaramente come l’intuizione di annullare l’effetto del dabigatran possa offrire a questi sfortunati pazienti una notevole possibilità di guarigione o comunque di miglioramento clinico in corso di evento vascolare cerebrale ischemico acuto, permettendo loro l’accesso alla trombolisi.
Questa prospettiva, costituisce un ulteriore elemento di validità nel profilo di sicurezza di dabigatran.
Come è noto la frequenza di eventi avversi emorragici con questa molecola è decisamente inferiore rispetto al warfarin. Questo case report testimonia ancor maggiormente come, attraverso la possibilità di avere a disposizione un efficace, valido, rapido e specifico reversal agent/ antidoto, il dabigatran aumenti ancora di più la propria sicurezza nel caso in cui il suo effetto, per svariati motivi come quello descritto in questa occasione, necessiti di un rapido annullamento ai fini della somministrazione contingente di un’altra terapia “salva vita” non compatibile con l’effetto anticoagulante.
Fonte
Intravenous Thrombolysis With Recombinant Tissue-Type Plasminogen Activator in a Stroke Patient Receiving Dabigatran Anticoagulant After Antagonization With Idarucizumab. Stroke. 2016;47:00-00. DOI: 10.1161/STROKEAHA.116.013550
Autore
Augusto Zaninelli
The ISO-SPREAD Collaborative Group, Firenze
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