Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Lug 20, 2016 Giuliana Maria Giambuzzi Cardiologia di genere, Cardiologia di genere Novità, Novità Cardiopatia Ischemica, Novità dalla ricerca, Novità Disturbi conduzione, Novità Homepage, Novità Prevenzione Primaria Commenti disabilitati su Arresto cardiaco e genere: migliora la sopravvivenza, meno per le donne
Resta elevato il divario di genere nell’accesso alle cure quando il battito del cuore si blocca. Le donne che hanno un arresto cardiaco hanno meno probabilità rispetto agli uomini di ricevere le procedure salva-vita, come l’angiografia e l’angioplastica coronarica (PCI), secondo una ricerca recentemente pubblicata sul Journal of American Heart Association.
Questo divario di genere non ci sorprende dato che già altri studi precedenti suggerivano che le donne tendono ad avere una presentazione meno tipica di arresto cardiaco che può portare a ritardi nel trattamento e a diagnosi errate.
Lo studio è il primo a segnalare che esistono disparità di trattamento basate sul sesso attraverso l’analisi dei dati di uno spettro di più di 1,4 milioni di pazienti sopravvissuti ad arresto cardiaco provenienti da più di 1.000 ospedali statunitensi. Nei 10 anni dello studio (dal 2003 al 2012), il tasso di mortalità ospedaliera è sceso per entrambi i sessi (dal 68,1% del 2003 al 59,6% nel 2012), ma è rimasto elevato per le donne (dal 69,1% al 60,9% nelle donne e dal 67,2% al 58,6% negli uomini). Gli autori hanno analizzato un totale di 1.436.052 cartelle di dimissione di pazienti che avevano avuto un arresto cardiaco: il 45,4% (n = 651.745) di questi erano di sesso femminile.
L’incidenza annuale degli arresti cardiaci, tachicardia ventricolare / fibrillazione ventricolare e attività elettrica senza polso (PEA) / asistolia sono aumentati del 14% nel corso del periodo di studio. E’ aumentato anche il ricorso a procedure, come la coronarografia, l’angioplastica coronarica (PCI), e l’ipotermia terapeutica (TTM), ma lo studio ha mostrato un divario terapeutico tra uomini e donne.
Dopo aggiustamento dei dati per i fattori confondenti (età del paziente, stato di salute, caratteristiche degli ospedali e precedenti procedure cardiache), i ricercatori hanno scoperto che le donne che erano sopravvissute ad arresto cardiaco mostravano rispetto agli uomini molte differenze fenotipiche nella presentazione tra cui:
– un’età avanzata,
– una minor probabilità di avere una diagnosi di malattia coronarica antecedente all’evento acuto,
– maggiori co-morbidità,
– maggiore prevalenza di fattori di rischio, come l’insufficienza cardiaca congestizia, l’ipertensione, l’obesità e altre,
– minor probabilità di presentare STEMI o un ritmo defibrillabile.
In seguito ad arresto cardiaco le donne rispetto agli uomini avevano:
– il 25% in meno di probabilità di ricevere un’angiografia coronarica;
– il 29% in meno di probabilità di subire una PCI;
– il 19% in meno di probabilità di essere trattate con TTM (procedura attraverso la quale la temperatura corporea viene abbassa per contribuire a migliorare le probabilità di sopravvivenza e ridurre il rischio di danni cerebrali).
E’ evidente che le sono trattate in modo meno aggressivo rispetto agli uomini.
Lo studio non è in grado di individuare le cause del divario di genere, tuttavia lancia uno spunto di riflessione a noi medici che abbiamo bisogno ancora di lavorare per ottimizzare le cure nella donna (fornire test di screening per rilevare fattori di rischio per arresto cardiaco) e sensibilizza al tema dell’arresto cardiaco: più persone dovrebbero essere istruite circa le procedure da attivare in caso di arresto cardio-circolatorio, come eseguire la rianimazione cardio-polmonare e come utilizzare i defibrillatori semi-automatici.
In caso di arresto cardiaco time is life: il tempo è sopravvivenza e le donne devono essere trattate esattamente nello stesso modo degli uomini, se vogliamo migliorare la loro sopravvivenza.
Fonte:
Sex-Based Disparities in Incidence, Treatment, and Outcomes of Cardiac Arrest in the United States, 2003-2012. J Am Heart Assoc. 2016 Jun 22;5(6). pii: e003704. doi: 10.1161/JAHA.116.003704.
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