Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Lug 28, 2016 Redazione Farmaci, Farmaci Fibrillazione atriale, Farmaci Ictus -Tia, Farmaci Prevenzione secondaria, News, Novità dalla ricerca, Novità Fibrillazione Atriale, Novità Homepage, Novità Prevenzione Secondaria 0
Nel corso della vita, si stima che circa una persona su 3 con fibrillazione atriale (FA) vada incontro a un ictus cerebrale (stroke). Nonostante le linee guida internazionali raccomandino l’utilizzo della terapia anticoagulante come prevenzione, solo il 55% dei pazienti con fibrillazione atriale riceve una prescrizione adeguata.
La disponibilità degli anticoagulanti orali diretti (DOAC, noti anche come NAO), più maneggevoli e sicuri rispetto all’attuale profilassi terapeutica con gli antagonisti della vitamina K (AVK) come il warfarin, impatta significativamente sulla qualità di vita dei pazienti e forniscono una risposta più efficace per la prevenzione dell’ictus, quantificabile in circa 11.000 casi evitabili all’anno, che corrispondono a un risparmio per il Servizio Sanitario Nazionale di circa 230 milioni di euro l’anno. Quindi, se è vero che i DOAC/NAO hanno costi iniziali più elevati (prezzo ex-factory di circa 66 euro mensili contro i poco più di 1 del warfarin), il loro utilizzo eviterebbe i costi diretti di ospedalizzazioni e cure a seguito di ictus acuti, e quelli indiretti dei numerosi monitoraggi e follow-up, richiesti dall’attuale standard terapeutico.
Nel meridione sono circa 170 mila i pazienti ad alto rischio che non ricevono la prescrizione di una cura adeguata, pari a circa un caso su due. Al Nord e al Centro Italia, invece, i malati ricevono la terapia più adatta nel 60% dei casi e la maggioranza la segue per il tempo necessario e senza fare errori: l’aderenza alle cure arriva al 78% al Nord e al Centro, mentre si ferma al 60% al Sud dove i pazienti, rispetto al resto d’Italia, ricevono meno anticoagulanti orali e più antipiastrinici (fino a un terzo dei casi), che risultano assolutamente inefficaci a prevenire le complicanze di questa aritmia.
Questi dati sono contenuti in uno studio in pubblicazione e realizzato da u tavolo interdisciplinare di sedici esperti tra le più importanti società scientifiche, associazioni pazienti, enti regionali, esperti del settore e farmacoeconomisti, grazie al contributo incondizionato di Daiichi Sankyo Europa.
Il documento segnala inoltre che la quota dei pazienti trattati risulta fortemente difforme sia tra le varie regioni italiane, con un valore massimo del 52,5% in Veneto, ed uno minimo del 22,9% in Sicilia, sia all’interno di una stessa regione, come nel caso della Campania, che mostra una forte variabilità fra le varie ASL e i diversi distretti. A livello di ASL si passa dall’11,0% (Sicilia) al 62,5% (Friuli Venezia Giulia).
Le Regioni meridionali hanno un tasso di trattamento del 39,3%, inferiore di 4,4 punti percentuali rispetto alla media nazionale. Anche il ricorso ai DOAC risulta fortemente difforme, pur essendosi quadruplicato fra il 2014 (9,3%) e il 2015 (36,4%).
Il problema più significativo rimane però la profilassi dei pazienti a maggior rischio di ictus. I livelli sono ancora lontani dai target ottimali, con una media nazionale giunta al 43,7%, ma ferma al 39,3% nelle Regioni meridionali, dove rimangono sotto il 40% 4 Regioni su 8. Rispetto al 2014, si osserva una netta crescita della copertura ma non una riduzione significativa della variabilità regionale, che rimane molto elevata, con quasi 30 punti percentuali di differenza fra la regione con la maggiore e quella con la minore quota di trattati: rimangono quindi problemi di accesso rilevanti in determinate aree geografiche.
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