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Mar 28, 2017 Redazione Novità Trombosi venosa profonda Commenti disabilitati su TEV. La valutazione del rischio individuale per la terapia a lungo termine (Assessment extension therapy)
Pazienti con un episodio di tromboembolismo venoso (TEV) acuto, che include trombosi venosa profonda degli arti inferiori (TVP) e/o da embolia polmonare (EP), necessitano di immediata terapia anticoagulante, al fine di curare la patologia acuta, evitare l’estensione del processo trombotico, l’evenienza di EP potenzialmente fatali e recidive precoci della trombosi. La terapia iniziale coinvolge i primi 7-21 giorni, e viene effettuata grazie alla somministrazione di anticoagulanti diretti per via parenterale o orale. Segue una terapia di “breve termine” o di “mantenimento”, che è raccomandata dalle più recenti linee-guida internazionali – ACCP, Chest, (1) per una durata di 3 mesi e non meno, ed è effettuata mediante somministrazione di possibili vari farmaci anticoagulanti, quali gli antivitamina K (AVK) o uno degli anticoagulanti orali diretti attualmente disponibili (DOAC), o anche di eparine a basso p.m. (EBPM), raccomandate per i casi di soggetti con tumore (Figura 1.Da Blondon & Bounameaux )
Secondo studi recenti (1), un periodo inferiore ai 3 mesi è associato a un maggior rischio di recidiva, mentre l’opportunità di una eventuale extension therapy deve essere valutata secondo l’individuale specifico rapporto rischi/benefici. Lo scopo di una terapia estesa è quello di evitare il rischio di recidiva che è vario a secondo della tipologia degli eventi tromboembolici e in relazione alle caratteristiche dei pazienti.
Il rischio di recidiva dopo un primo TEV è elevato nei primi 3-6 mesi, ma può persistere anche più a lungo, con un’incidenza cumulativa del 17.5%, 24.6% e 30.3% dopo rispettivamente 2, 5 e 8 anni (2). La terapia anticoagulante, con qualsiasi tipo di farmaco sia condotta, è altamente efficace nel ridurre il rischio di recidiva, ma il suo effetto protettivo persiste solo durante il trattamento, mentre dopo la sua sospensione – qualsiasi sia stata la durata della terapia – il rischio di recidiva risale (3,6). Ciò implica che non vi è vantaggio a decidere un trattamento limitato nel tempo, anche se superiore a 3-6 mesi. L’alternativa consiste quindi nell’interrompere la terapia anticoagulante dopo la fase di mantenimento (3-6 mesi), o prolungarla a tempo “indefinito”.
TEV provocate o non-provocate e relativo rischio di recidiva
Gli eventi insorti in associazione temporale ad un fattore scatenante che è poi stato rimosso (vedi Tabella 1), sono definiti provocati e sono in genere a minor rischio di recidiva trombotica in quanto il fattore trigger è ritenuto una causa sufficiente dell’evento senza che vi sia necessità di una particolare predisposizione del paziente. Per questo motivo pazienti con eventi provocati meritano un trattamento anticoagulante breve, 3-6 mesi (1), in particolare se il fattore scatenante è stato di tipo chirurgico (3).
Si definiscono invece non-provocati (o anche idiopatici) gli eventi TEV che sono insorti senza alcuna relazione con la presenza di fattori scatenanti o associati a fattori cosiddetti deboli, che possono presentarsi in una grande quantità di soggetti, ma solo in pochi provocano una TEV. In questi casi è ragionevole ipotizzare che vi sia una tendenza personale del paziente (persistente? transitoria?) a sviluppare una TEV, con maggior rischio di recidiva in assenza di una protezione anticoagulante (vedi i fattori favorenti le TEV in Tabella 1).
In caso di eventi non-provocati, le linee-guida internazionali AT10 di ACCP suggeriscono un trattamento anticoagulante esteso, salvo siano presenti condizioni ad alto rischio emorragico. Quindi diventa indispensabile, trascorso il periodo di trattamento iniziale e di mantenimento, rivalutare il paziente idiopatico e cercare di valutare il suo rischio di recidiva ed anche quello di comparsa di complicanze emorragiche in caso di ripresa della terapia anticoagulante.
Il rischio individuale di recidiva è anche legato alla tipologia e sede dell’evento verificatosi nel paziente e alle caratteristiche di quest’ultimo (vedi Tabella 2. Modificata da Palareti 2012).
Nel complesso, non è sempre facile valutare il rischio individuale di recidiva. A questo scopo le linee-guida raccomandano di considerare la possibile presenza di due condizioni che supportano l’adozione di una terapia estesa: il sesso maschile e la positivizzazione dei D-dimeri misurati dopo la sospensione della terapia anticoagulante (1). Il rischio di recidiva nei maschi è stato valutato di 1,75 volte quello delle femmine (4), mentre quello in pazienti con D-dimero che diventa positivo ad 1 mese dalla sospensione dell’anticoagulazione è di circa due volte più alto che nei pazienti con test negativo (5-6 ).
Bibliografia
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