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Mar 28, 2017 Redazione Novità Trombosi venosa profonda Commenti disabilitati su TEV. Rischio emorragico e indicazione alla extension therapy: come fare?
È noto che vi sono delle situazioni personali o cliniche che costituiscono una controindicazione assoluta al trattamento anticoagulante o ad alcune classi di farmaci anticoagulanti. È questo il caso della presenza di emorragia maggiore in atto o molto recente e, per alcuni farmaci, la gravidanza e l’allattamento. I farmaci AVK non dovrebbero essere somministrati durante il primo trimestre di gravidanza in quanto teratogeni (con un rischio di malformazioni stimato intorno al 6 %). Nelle ultime 4-6 settimane di gravidanza invece la controindicazione è legata al rischio emorragico nella madre. Inoltre gli AVK attraversano la placenta ed espongono pertanto il feto a possibili danni cerebrali su base emorragica per tutta la durata della gravidanza e soprattutto al parto. Anche i DOAC sono controindicati in gravidanza e nell’allattamento.
Altre condizioni cliniche, spesso frequenti nella pratica clinica, non sono vere e proprie controindicazioni, ma si associano ad un aumentato rischio emorragico, specie in corso di terapie anticoagulanti. Le linee-guida ACCP (1) riportano un elenco di queste condizioni e suggeriscono l’adozione di uno score per la identificazione del rischio basso, moderato o alto (Tabella 1).
In caso di rischio emorragico elevato le linee-guida sconsigliano l’adozione di una terapia estesa dopo un TEV e suggeriscono di effettuare solo la terapia anticoagulante nella fase iniziale e di mantenimento, senza ulteriore estensione. Il rischio emorragico è anche dipendente dal tipo di farmaco anticoagulante usato.
Fino a pochi anni fa gli unici farmaci anticoagulanti orali idonei per una prolungata anticoagulazione sono stati il warfarin e farmaci simili (anche se con caratteristiche diverse, quali l’acenocumarolo e il fenprocumone). Gli studi che hanno adottato periodi prolungati di terapia hanno dimostrato un importante rischio emorragico quando è stata ripresa l’anticoagulazione mediante un AVK (2). Vi sono risultati di studi clinici recenti che dimostrano un’incidenza minore di emorragie con alcuni dei DOAC durante un trattamento esteso. Se confermato in studi di real-life, questo potrebbe indicare un potenziale futuro sviluppo per una più frequente indicazione a un trattamento prolungato. Tuttavia, rimane da considerare il suggerimento di evitare anticoagulazione protratta in casi in cui la valutazione del rischio emorragico sia elevato. In questa categoria ricadono tutti i pazienti anziani (> 75 anni, 2 punti dello score ACCP), una tipologia di pazienti molto rilevante nella pratica clinica dei paesi a sviluppo avanzato in quanto è atteso un caso di TEV ogni 100 cittadini in questa fascia d’età.
Cosa fare quando il rischio emorragico è elevato?
Secondo le più recenti linee-guida internazionali in presenza di un elevato rischio emorragico l’estensione dell’anticoagulazione oltre i primi 3-6 mesi è sconsigliata, anche nei pazienti che abbiano sofferto di un TEV non-provocato. In questi casi la preferenza dei pazienti, dopo adeguata informazione su rischi e benefici in relazione alla specifica situazione, dovrebbe essere un fattore determinante della scelta terapeutica da parte dei curanti.
Sono poi da considerare che sono possibili alcune alternative terapeutiche invece che procedere alla completa sospensione di ogni trattamento protettivo dopo i primi 3-6 mesi di terapia anticoagulante. Queste alternative mirano a garantire un certo grado di protezione nel lungo periodo, ma con un ridotto rischio emorragico. La prima alternativa consiste nella somministrazione di Aspirina (ASA) a. La somministrazione di Aspirina alla dose di 100 mg/die si è dimostrata efficace nel ridurre le recidive di TEV di circa il 40% (3), riduzione certamente inferiore a quella ottenibile con gli anticoagulanti, ma con il vantaggio di una minor incidenza di emorragie. Va segnalato tuttavia che il trattamento cronico con Aspirina non è esente da un rischio emorragico, sia spontaneo (specie gastro-intestinale), che in occasione di traumi accidentali, e che questo rischio emorragico è più evidente nei soggetti anziani, proprio la categoria di soggetti per i quali una protezione sarebbe più necessaria.
Un’altra possibile opzione è la somministrazione di sulodexide. Tra queste due opzioni lo specialista propone al paziente, che accetta, un trattamento prolungato con sulodexide.
Il recente studio clinico SURVET, randomizzato, controllato con placebo (4), ha dimostrato che la somministrazione di sulodexide (alla dose di 500 Unità lipasemiche 2 volte al dì), dopo un periodo standard di terapia anticoagulante, ha consentito una riduzione del 50% delle recidive trombotiche rispetto al placebo in soggetti con un precedente TEV non provocato. Ancora più rilevante e da sottolineare è che questa riduzione è stata ottenuta senza indurre l’insorgenza di alcuna emorragia maggiore, dimostrando quindi una grande sicurezza del trattamento, cosa che appare di forte interesse per il trattamento secondario del TEV specie negli anziani.
Bibliografia
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