Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Mag 17, 2017 Gaetano D'Ambrosio Novità dalla ricerca, Novità Homepage, Novità Ipertensione, Novità Prevenzione Primaria Commenti disabilitati su Giornata mondiale dell’ipertensione 2017. Le sfide per la Medicina Generale
L’ipertensione arteriosa è una patologia largamente diffusa. Nel database di HealthSearch la sua prevalenza raggiunge il 26,7% (figura 1), con valori rapidamente crescenti in funzione dell’età, e si configura come il problema clinico che determina di gran lunga il maggior numero di contatti con il Medico di Medicina Generale.
Anche se sono disponibili terapie farmacologiche efficaci e ben tollerate, caratterizzate da un ampio spettro di meccanismi d’azione, che consentono di ottimizzare e personalizzare il trattamento, l’ipertensione rappresenta ancora oggi una vera sfida per il Medico di Medicina Generale, soprattutto in relazione ai seguenti obiettivi:
Inquadramento diagnostico
La diagnosi dell’ipertensione arteriosa è una procedura relativamente semplice che non richiede tecnologie sofisticate. Tuttavia il mancato riconoscimento dei diversi pattern ipertensivi (figura 2) può causare un eccesso o un difetto di diagnosi e, conseguentemente, un eccesso o un difetto di terapia.
L’ipertensione da camice bianco e la cosiddetta “reazione di allarme”, presente in molti pazienti ipertesi, impongono la necessità che la misura della pressione arteriosa sia effettuata non come un frettoloso complemento della visita ma come una procedura diagnostica che richiede tempi e modalità appropriate. Essa, inoltre, può costituire una occasione importante per uno screening della fibrillazione atriale asintomatica.
D’altra parte, se il dubbio di una ipertensione da camice bianco può essere agevolmente risolto richiedendo al paziente di effettuare un auto-monitoraggio domiciliare (HBPM) o sottoponendolo a monitoraggio ambulatoriale (ABPM), individuare i pazienti con ipertensione mascherata , caratterizzati da valori pressori normali in ambulatorio, rappresenta un problema di non facile soluzione e di grande rilievo assistenziale. Si stima che l’ipertensione mascherata abbia una prevalenza superiore al 10% e che sia responsabile di una pericolosa sotto-diagnosi della patologia ipertensiva o di un suo sotto-trattamento. In alcuni casi, infatti, è possibile che i valori pressori nei soggetti ipertesi in terapia siano solo apparentemente ben controllati perché in ambulatorio risultano più bassi di quelli reali.
Alla luce di queste considerazioni, l’auto-controllo domiciliare e il monitoraggio ambulatoriale dovrebbero essere fortemente incentivati. A parere di chi scrive l’ABPM dovrebbe essere considerato, insieme all’ECG, dotazione diagnostica di base di un ambulatorio di Medicina Generale.
Un altro non meno importante aspetto dell’inquadramento diagnostico del paziente iperteso è rappresentato dalla identificazione delle forme secondarie potenzialmente suscettibili di trattamento risolutivo. Le linee guida europee non prevedono che si effettui uno screening dell’ipertensione secondaria in tutti i pazienti ipertesi ma riservano un approfondimento diagnostico in tal senso ai soggetti con “un incremento importante dei valori pressori, un esordio o un peggioramento brusco, una scarsa risposta alla terapia medica o con danni agli organi bersaglio sproporzionati rispetto alla durata dell’ipertensione”. Tra le cause più frequenti di ipertensione secondaria l’iperaldosteronismo primario è stato oggetto di numerose ricerche e merita sicuramente una particolare attenzione da parte del medico.
Target pressori
Fino a quale valore di pressione sistolica e diastolica far scendere la pressione del paziente è un problema con il quale ci confrontiamo quotidianamente nei confronti del quale, però, la letteratura recente ha creato qualche perplessità.
Una recente meta-analisi ha documentato che i target pressori più spinti (120-130 mmHg di sistolica) sono più efficaci in termini di prevenzione mentre i target più elevati (130-140 mmHg di sistolica) garantiscono una maggiore sicurezza.
Le linee guida europee raccomandano di portare la pressione a 140/90 mmHg nella generalità dei pazienti ma prevedono eccezioni per i pazienti con diabete (140/85 mmHg) e per gli anziani (140-150/90 mmHg).
Gli standard italiani per la cura del diabete mellito 2016 confermano il target 140/90 mmHg per i pazienti diabetici anche qui con alcune eccezioni per gli anziani (150/90 mmHg) e per i soggetti giovani, con diagnosi recente, con albuminuria o con rischio CV elevato (130/80 mmHg).
A complicare le cose sono giunti nel 2015 i risultati dello studio SPRINT che hanno evidenziato i benefici, in termini di mortalità e morbilità cardio-vascolare, della strategia di portare al di sotto di 120 mmHg la sistolica, anche nei pazienti anziani, anche al prezzo di un maggior utilizzo di farmaci e di più frequenti effetti collaterali.
Un target così ambizioso è apparso molto difficile da perseguire al di fuori del contesto operativo rigoroso di un trial clinico, come evidenziato in un recente articolo che ha messo in evidenza i limiti di trasferibilità dei risultati dello studio SPRINT inducendoci a ritenere che perseguire target pressori molto bassi nella popolazione anziana è possibile, a condizione che i pazienti siano accuratamente selezionati e che siano adottate procedure adeguate per la misurazione della pressione arteriosa.
Anche il recentissimo aggiornamento delle linee guida delle società cardiologiche americane ha collocato a 130 mmHg di sistolica, invece che a 120 mmHg, il target terapeutico nei pazienti a rischio di scompenso in base alla constatazione che la pressione arteriosa misurata nella pratica routinaria è 5-10 mmHg più elevata di quella riscontrata nelle condizioni controllate di un trial.
Ci auguriamo che la prossima edizione delle linee guida europee sull’ipertensione, attese nel 2018, facciano chiarezza su questo argomento e aiutino il medico nel difficile compito di adeguare gli obiettivi del trattamento alle caratteristiche demografiche e cliniche del paziente.
Aderenza alla terapia: associazione pre-costituita e sostituzione con equivalente
L’aderenza alla terapia è un fattore fondamentale dell’efficacia delle cure. Viceversa la scarsa aderenza tende a vanificare l’azione preventiva del trattamento anti-ipertensivo e a compromettere gli esiti assistenziali. E’ pertanto preoccupante constatare che l’ultimo rapporto OSMED 2016 riporta una percentuale di pazienti aderenti alla terapia anti-ipertensiva inferiore al 60%.
Sono state identificate molteplici cause di scarsa aderenza, attribuibili al paziente, al medico, al sistema. Tra le più rilevanti, vi sono la complessità dello schema terapeutico e la frequente sostituzione delle confezioni che tipicamente avviene quando sono prescritti farmaci equivalenti.
Per quanto riguarda la complessità dello schema terapeutico, un contributo alla soluzione del problema è venuto dalle associazioni pre-costituite, in particolare quelle contenenti un calcio antagonista ed un farmaco attivo sul sistema renina-angiotensina, in quanto in grado di potenziare l’efficacia e attenuare gli effetti collaterali delle due componenti. La strategia appare particolarmente efficace, al punto che è stata recentemente proposta una quadruplice associazione pre-costituita contenente un sartano, un calcio-antagonista, un diuretico ed un beta-bloccante.
Più complesso è il discorso che riguarda i farmaci equivalenti. Attualmente la terapia farmacologica dell’ipertensione si fonda su prodotti che nella quasi totalità dei casi hanno perso il brevetto e sono disponibili anche sotto forma di farmaci equivalenti (figura 3).
Appare ormai evidente che tra originatori ed equivalenti non vi sono sostanziali differenze in termini di efficacia, tollerabilità ed anche aderenza alla terapia ma che quest’ultima può essere significativamente compromessa quando vengono operate sostituzioni tra originatore ed equivalente o tra equivalenti di marche diverse . E’ questo un punto critico della terapia farmacologica dell’ipertensione che attende ancora di essere risolto.
Qualità delle cure: una questione di organizzazione
Individuare i pazienti con diagnosi misconosciuta, perseguire e conseguire gli obiettivi pressori raccomandati, ricercare e rimuovere le cause di scarsa aderenza alla terapia, sono attività caratteristiche del Medico di Medicina Generale che richiedono un atteggiamento pro-attivo ed un notevole sforzo organizzativo. Tali obiettivi, infatti, non sono raggiungibili mantenendo un atteggiamento di attesa perché richiedono che il medico intervenga andando ben oltre i bisogni di cura percepiti dal paziente. Inoltre è impensabile che una medicina di iniziativa nei confronti dell’ipertensione arteriosa e delle altre patologie croniche possa realizzarsi in assenza di un assetto organizzativo adeguato che superi i limiti del Medico di Medicina Generale isolato nel suo ambulatorio.
Ci auguriamo che la Medicina Generale e l’area delle Cure Primarie, dotandosi di un più efficiente sistema di continuità assistenziale, della collaborazione del personale infermieristico, della disponibilità di strumenti di diagnostica strumentale di primo livello, dell’ausilio della figura emergente del Medico di Medicina Generale con speciale interesse, possa affrontare e vincere la sfida di una gestione efficace e al passo con i tempi di patologie complesse e ad alta prevalenza come l’ipertensione arteriosa.
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