Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Lug 20, 2018 Gaetano D'Ambrosio Novità dalla ricerca, Novità Homepage, Novità Prevenzione Primaria Commenti disabilitati su Nuova raccomandazione USPSTS sull’utilizzo di alcuni fattori di rischio cardiovascolare non tradizionali
La Task Force dei servizi preventivi statunitensi (USPSTS) ha emanato una nuova raccomandazione riguardante l’utilizzo di alcuni fattori di rischio cardiovascolare non tradizionali: il calcium score coronarico (CAC = coronare artery calcium), l’indice caviglia braccio (ABI = ankle brachiale index) e la proteina C reattiva ad alta sensibilità (hsCRP = high-sensivity C-reactive protein).
Sulla base della letteratura disponibile, l’agenzia americana conclude che non vi sono attualmente evidenze sufficienti per valutare il bilancio rischi/benefici derivanti dall’aggiunta dei suddetti fattori di rischio a quelli tradizionali, nella valutazione del rischio cardio-vascolare dei soggetti adulti asintomatici.
Non si tratta di una valutazione negativa sul valore di questi strumenti diagnostici, ma soltanto della ammissione di non poter trarre delle conclusioni né a favore né contro il loro utilizzo. Questa conclusione è valida anche per le calcificazioni coronariche, nonostante gli autori riconoscano che le evidenze relative a questa metodica, siano più forti rispetto a quelle della hsCRP e dell’ABI.
Entrambi gli editoriali pubblicati sullo stesso numero di JAMA Cardiology, a commento del documento USPSTS, dedicano una ampia riflessione al ruolo delle calficiazioni coronariche evidenziando che, se certamente questo test non è proponibile nella valutazione routinaria del rischio cardiovascolare, esso si rivela molto utile nei singoli pazienti nei quali la valutazione effettuata utilizzando i fattori di rischio tradizionali conduce a risultati molto vicini alle soglie decisionali.
La valutazione delle calcificazioni coronariche, infatti, è strettamente correlata alla estensione e alla gravità dell’aterosclerosi coronarica. Al contrario, l’ABI si altera solo in presenza di una alterazione emodinamica severa a livello degli arti inferiori per cui un ABI patologico generalmente si riscontra in soggetti che hanno già un profilo di rischio cardiovascolare elevato mentre un ABI normale è di scarso aiuto nel riclassificare un paziente con rischio intermedio. Per questo, se l’utilizzo dell’ABI nella pratica clinica come metodica di screening per la vasculopatia periferica è sicuramente fondato, la sua utilità nella valutazione routinaria del rischio cardiovascolare è limitata.
Analoghe considerazioni possono essere fatte per l’hsCRP la cui scarsa specificità ne limita fortemente l’utilizzo nella riclassificazione del rischio cardiovascolare.
Infine, entrambi gli editoriali fanno rilevare che la difficoltà nell’emettere raccomandazioni a favore o contro l’utilizzo routinario dei fattori di rischio “non tradizionali”, dipende dalla mancanza di studi prospettici randomizzati che dimostrino l’efficacia del loro inserimento negli algoritmi di stima del rischio, nel ridurre l’incidenza di eventi cardiovascolari e la mortalità. Tali studi richiederebbero casistiche estremamente numerose e follow-up molto lunghi e per questo è improbabile che siano realizzati.
Fonte: Risk Assessment for Cardiovascular Disease With Nontraditional Risk Factors US Preventive Services Task Force Recommendation Statement JAMA. Published online July 10, 2018. doi:10.1001/jama.2018.8359
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