Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Set 28, 2018 Augusto Zaninelli Farmaci, Farmaci TVP-EP, FOCUS ON TVP, Questioni Pratiche, Questioni Pratiche - Trombosi Venosa Profonda 2
a cura di Augusto Zaninelli
the System Academy, Firenze
La terapia della trombosi venosa ricorrente
Le fasi della terapia del tromboembolismo venoso sono sostanzialmente 3:
Ovviamente, scopo di questa terapia di mantenimento a lungo termine è quella di ridurre la probabilità di recidiva.
Dopo i primi due mesi dall’evento, la probabilità di recidive di tromboembolismo venoso in pazienti che non assumono più terapia è del 17,5% a due anni, del 24,6% a cinque anni e circa del 30% a 10 anni. L’impiego del warfarin, con il mantenimento dei valori di INR fra 2.00 e 3.00 ha prodotto una effettiva importante riduzione del 90% del rischio di recidiva a fronte, però, di una probabilità del 2% / anno di avere un sanguinamento maggiore: emorragia importante del tratto gastroenterico oppure una emorragia cerebrale soprattutto nella popolazione anziana. Gli anticoagulanti orali diretti hanno dimostrato una sostanziale non inferiorità nella efficacia di ridurre le recidive con un profilo di sicurezza superiore rispetto agli inibitori della vitamina K, anche se ad un costo abbastanza elevato.
Efficacia e sicurezza
Si pone, quindi, la quesito di quanto protrarre il trattamento anticoagulante.
Due anni secondo alcuni studi2, 6 mesi secondo altri3, 3 mesi secondo altri ancora4. La questione è controversa e le linee guida CHEST5 hanno cercato di dare delle indicazioni, distinguendo però due tipologie di pazienti. Infatti, nei pazienti con trombosi venosa profonda prossimale secondaria e/o embolia polmonare è raccomandata la terapia anticoagulante orale per 3 mesi e poi stop (Grado 1B), mentre nei pazienti con trombosi venosa profonda prossimale non provocata (idiopatica) e/o embolia polmonare, che abbiano un rischio basso o moderato di sanguinamento, si raccomanda una terapia anticoagulante continuativa, senza predeterminarne a priori, la fine (Grado “B).
È evidente, quindi, che le maggiori attenzioni per quanto riguarda la terapia e la prevenzione delle recidive devono essere concentrate sulle forme di trombosi venosa idiopatica o non provocata.
Sono stati effettuati molti studi in queste tipologie di pazienti, al fine di trovare degli indicatori che potessero in qualche modo stimare il rischio individuale di recidiva di trombosi venosa profonda. Diverse sono le variabili prese in considerazione: il genere, il valore del D-dimero dopo la sospensione della terapia anticoagulante, l’ostruzione venosa ed lo spessore del residuo trombotico, insieme ad alcuni criteri clinici legati alla presentazione della malattia esempio se vi era una embolia polmonare oppure no.
Alla fine due sono gli schemi maggiormente utilizzati per distinguere questi pazienti a basso, medio ed elevato rischio di sviluppare recidive di trombosi venosa profonda o embolia polmonare nei 12 mesi o cinque anni successivi all’evento indice.
Si tratta del diagramma di Vienna6 (Figura 1) e del DASH score7 (Figura 2). In questi punteggi ci si riferisce sempre alla misurazione del D-dimero 30 giorni dopo la sospensione della terapia anticoagulante orale.
Le categorie di rischio di sviluppare recidive sono così suddivise:
I soggetti ad alto rischio di sviluppare nuovi episodi trombotici hanno una probabilità del 20% di sviluppare un nuovo evento nei successivi 2 anni, quelli a rischio moderato fra il 5 e il 20%, mentre quelli a basso rischio sono al di sotto del 5% in 2 anni.
Una volta però catalogato in paziente con trombosi venosa idiopatica non provocata in una delle tre classi di rischio di recidiva, l’altra variabile da tenere seriamente in considerazione è il rischio di sanguinamento sul quale, come è noto, la terapia anticoagulante orale comporta una necessità di attenzione.
Questi pazienti quindi vanno classificati anche per il grado di rischio emorragico, anche qui suddiviso in basso, moderato ed elevato, secondo i seguenti criteri5:
Il rischio di avere un evento emorragico maggiore in corso di terapia continuativa con anticoagulanti orali è stimato nello 0.8% all’anno per il basso rischio, nel 1,6% all’anno per il medio rischio e del >6,5% all’anno per l’alto rischio. A queste classificazioni, poi, si aggiungono i pazienti che hanno controindicazioni al warfarin o ai nuovi anticoagulanti orali oppure che rifiutano, dopo adeguata informazione, questa terapia.
Conclusioni
La terapia della prevenzione della trombosi venosa ricorrente, quindi, va selezionata in base livello di rischio presentato dal paziente.
Se il paziente presenta un rischio basso di trombosi ricorrente non va effettuata alcuna terapia, mentre al contrario, se il paziente si trova in una classe di rischio elevata va mantenuta la terapia anticoagulante orale. Nella classe intermedia, in cui il paziente si trova con un rischio individuale moderato si possono continuare gli anticoagulanti orali ma è lecito prendere in considerazione anche terapie alternative come l’aspirina e, soprattutto alla luce dei dati dello studio SURVET8, il sulodexide.
Bibliografia
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Professore di Medicina Generale Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Frenze Specialista in Medicina Interna Specialista in Cardiologia European Hypertension Specialist
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