Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Dic 12, 2018 Gaetano D'Ambrosio Farmaci, Farmaci Ipertensione, Farmaci Scompenso cardiaco, Novità dalla ricerca, Novità Homepage, Novità Ipertensione, Novità Scompenso cardiaco 1
L’utilizzo a lungo termine degli ACE-inibitori si associa ad una aumentata incidenza di cancro del polmone.
Questa affermazione scaturisce da un ampio studio di coorte, condotto sul “Clinical Practice Reseearch Datalink”, un grande database britannico che raccoglie i dati di circa 700 ambulatori di Medicina Generale relativi a oltre 15 milioni di pazienti.
Lo studio ha valutato con un follow-up medio di 6.4 (± 4.7) anni 335.135 pazienti trattati con ACE-inibitori e 29.008 trattati con sartani, registrando i casi incidenti di neoplasia polmonare.
Complessivamente si sono verificati 7952 nuovi casi corrispondenti ad un tasso grezzo di incidenza di 1.3 per 1000 persone anno. L’incidenza nei pazienti trattati con sartani e con ACE-inibitori è stata rispettivamente di 1.6 e 1.2 casi per 1000 persone anno .
Suddividendo i pazienti trattati con ACE-inibitori in tre gruppi in funzione della durata del trattamento, il tasso di incidenza nei pazienti trattati per meno di 5 anni, 5-10 anni o più di 10 anni è risultato rispettivamente di 1.4, 2.0, 2.5 casi per 1000 persone anno.
Nella figura sono rappresentati i valori del rischio relativo di cancro polmonare dei pazienti trattati con ACE-inibitori rispetto ai pazienti trattati con sartani, dopo aggiustamento statistico per numerose variabili anagrafiche e cliniche tra cui lo stato di fumatore (attuale, pregresso, mai) e la storia di patologie polmonari (polmonite, tubercolosi, BPCO). Si può osservare come i pazienti trattati con ACE-inibitori presentino, rispetto ai pazienti trattati con sartani, un rischio del 14% più elevato di subire una neoplasia polmonare. L’incremento del rischio non è statisticamente significativo nel sottogruppo di pazienti trattati per meno di 5 anni ma è progressivamente crescente e statisticamente significativo nei pazienti trattati per più di 5 o 10 anni.
Gli autori concludono affermando che, nella popolazione da loro studiata, l’utilizzo degli ACE-inibitori è associato con un rischio di cancro del polmone tanto più elevato quanto più duratura è stata l’esposizione al farmaco. La grandezza di questo effetto è modesta ma, considerato il grande numero di soggetti trattati con ACE-inibitori, potrebbe tradursi in un numero assoluto di pazienti a rischio di cancro non trascurabile. Pertanto è opportuno che questa osservazione sia verificata anche in altri contesti.
Il rapporto tra ACE-inibitori e neoplasie polmonari ha un razionale fisiopatologico. L’ACE, infatti, è uno degli enzimi che degrada la Bradichinina, peptide responsabile della tosse e dell’edema angioneurotico correlati all’uso degli ACE-inibitori. Questi farmaci, infatti, rallentandone la degradazione, favoriscono l’accumulo della Bradichinina. Inoltre, in vari tessuti cancerosi, compreso il cancro polmonare, sono stati localizzati recettori per la Bradichinina in grado di stimolare la replicazione cellulare e la neo-angiogenesi.
Il rapporto tra ACE-inibitori e neoplasie polmonari riveste un grande interesse speculativo ma, come ammettono gli stessi autori, necessita di essere confermato in altri studi prima di essere tradotto in modifiche della pratica clinica. Gli ACE-inibitori, infatti, sono farmaci utilissimi in ambito cardio-vascolare, in grado di determinare benefici di gran lunga superiori all’eventuale danno oncologico la cui entità, alla luce del presente studio, appare piuttosto modesta. D’altra parte, l’epidemiologia del cancro del polmone è strettamente legata all’abitudine tabagica e a fattori ambientali sui quali è necessario concentrare gli sforzi per perseguire una efficace strategia preventiva.
Fonte: Angiotensin converting enzyme inhibitors and risk of lung cancer: population based cohort study BMJ 2018;363:k4209
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