Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Gen 14, 2019 Augusto Zaninelli Casi clinici, FOCUS ON TVP, Trombosi venosa profonda - Embolia polmonare CC, Trombosi venosa superficiale CC Commenti disabilitati su Maura, una paziente anziana fragile affetta da trombosi venosa profonda
Caso Clinico a cura di Augusto Zaninelli
the System Academy, Firenze
Si riporta il caso di Maura una signora di 84 anni, classificata come anziana fragile, del peso di 57 kg per 150 cm di altezza.
La paziente viene inviata con una richiesta di visita urgente in chirurgia vascolare per la comparsa da un paio di giorni di segni e sintomi riferibili ad una trombosi venosa profonda.
La signora viene visitata preliminarmente dal chirurgo vascolare che riporta in cartella la presenza, come sintomi ed esame obiettivo, di dolore e tensione alla gamba destra accompagnate da gonfiore (circonferenza di circa 3 cm maggiore rispetto all’arto controlaterale) con cute arrossata e calda. La paziente presenta nella sua storia familiare una sorella che all’età di 61 anni ha avuto una trombosi venosa profonda idiopatica. Dall’anamnesi patologica remota sì registra una moderata insufficienza renale con il dato più recente sul filtrato glomerulare pari a 43 ml/min.
Sulla base dello Score di Wells per il sospetto di trombosi venosa profonda (Wells PS et al. NEJM 2003;349:1227–35), il medico riconosce la presenza di tre punti e, in base a questo parametro, sopra il punteggio di due, si può porre un forte sospetto di trombosi venosa profonda per cui la paziente viene ricoverata nel reparto di chirurgia vascolare (figura 1).
A questo punto viene eseguito un eco-color-doppler venoso degli arti inferiori e viene riconosciuta la presenza di una trombosi venosa profonda a livello femorale e popliteo nella gamba destra. Viene quindi iniziato un trattamento con dalteparina 12.500 unità sottocute come terapia ponte verso l’instaurazione di un trattamento anticoagulante orale con il warfarin.
La signora rimane sei giorni in ospedale, durante i quali non viene riconosciuta una causa secondaria della sua trombosi venosa profonda e viene dimessa dopo due giorni consecutivi nei quali il valore di INR appare stabilizzato fra 2 e 3. La paziente viene quindi indirizzata al centro TAO di riferimento.
Il centro TAO prende in carico la signora Maura e le prospetta, sulla scorta delle raccomandazioni delle linee guida, per pazienti anziani con un primo episodio idiopatico di trombosi venosa profonda una terapia con gli antagonisti della vitamina K per tre mesi.
La paziente, tuttavia, non riesce ad avere un appuntamento con il chirurgo vascolare alla fine dei tre mesi, e riesce ad avere un nuovo controllo dopo cinque mesi dalla comparsa del primo evento.
Nel frattempo, è seguita dal centro TAO, con una certa difficoltà dovuta ad ostacoli di tipo logistico come l’organizzazione dei prelievi domiciliari, il contatto con l’ematologo e un tempo di mantenimento in range adeguato di circa il 55%.
Una volta consultato il chirurgo vascolare per la vista di controllo, l’esecuzione dell’eco-color-doppler venoso degli arti inferiori mostrava la risoluzione del trombo e il chirurgo consigliava di proseguire con la terapia anticoagulante orale a giudizio dell’ematologo per evitare recidive sicuramente percentualmente più frequenti nelle persone anziane.
L’ematologo, decideva quindi di proseguire con la terapia anticoagulante orale ma in considerazione delle difficoltà di gestione del warfarin, preferiva sospendere gli antagonisti della vitamina K e prescriveva il dabigatran a 110 mg due volte al giorno per un periodo di tempo da valutare insieme con lo specialista vascolare, compilando il piano terapeutico per la prescrizione con scadenza annuale.
Con la nuova terapia la signora Maura si sentiva molto più libera dal punto di vista dei controlli e accedeva per le sue patologie di base dal medico di medicina generale per le consuete abituali verifiche legate alla cronicità, non presentando più segni o sintomi riferibili alla trombosi venosa profonda. Ella, quindi, decideva di non consultare più alcun specialista per il problema venoso, ritenendosi definitivamente guarita. Dopo circa tre mesi dall’inizio della terapia con dabigatran la paziente iniziava, però, a sentirsi piuttosto stanca, con facile affaticabilità, dispnea da sforzo moderato, dispepsia, accompagnati da un certo pallore cutaneo.
Il medico, a questo punto, sottoponeva la paziente ad alcuni accertamenti ematologici, riconoscendo la presenza di una anemia sideropenica con valori di emoglobina pari a 8,8 mg%.
Ricerca del sangue occulto nelle feci, esofagogastroduodenoscopia, colonscopia, non mostravano aree sicure di sanguinamento se non una gastrite iperemica superficiale.
Pertanto, il medico concludeva con la diagnosi di anemia legata ad un sanguinamento minore dell’apparato digerente molto probabilmente dovuta ad un effetto collaterale del dabigatran.
Informata di questa diagnosi finale, la signora Maura rifiutava di continuare la terapia anticoagulante orale e decideva di non assumere più nulla per la prevenzione delle recidive di una trombosi venosa profonda.
Evidentemente per la signora Maura risultava essere più disturbante e preoccupante il rischio emorragico che non il beneficio della terapia in termini di prevenzione sulla trombosi venosa profonda. D’altra parte, al di là degli anticoagulanti orali sia antagonisti della vitamina K, sia diretti, una possibile alternativa poteva essere la somministrazione di acido acetilsalicilico 100 mg ma i dati della letteratura anche recente non tutelano affatto una paziente anziana da rischio emorragico che, soprattutto per quanto riguarda le perdite di sangue dal tratto gastroenterico può essere sovrapponibile a quello degli anticoagulanti.
Quindi, oltre ad assecondare la volontà della paziente e non somministrare più nulla, una possibile alternativa che la moderna farmacologia fornisce è quella di proporre una terapia con sulodexide 500 unità due volte al giorno per un tempo, per il momento, indeterminato in quanto dai dati dello studio SURVET, il rischio di sviluppare emorragie con questo farmaco è del tutto sovrapponibile a quello del placebo, con, però, una documentata efficacia nel ridurre il rischio di recidive di tromboembolismo venoso.
La duttilità e versatilità di questo farmaco consente di poter essere somministrato anche a pazienti con altri fattori di rischio cardiovascolari, come l’ipertensione arteriosa o la dislipidemia e il diabete, in quanto non presenta interazioni farmacologiche negative con i farmaci per il controllo di questi fattori.
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Professore di Medicina Generale Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Frenze Specialista in Medicina Interna Specialista in Cardiologia European Hypertension Specialist
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