Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Feb 15, 2019 Augusto Zaninelli Casi clinici, FOCUS ON TVP, Trombosi venosa profonda - Embolia polmonare CC, Trombosi venosa superficiale CC, Vasculopatie CC Commenti disabilitati su Aldo, il caso clinico di un super atleta a rischio TVP e emorragico
Augusto Zaninelli
the System Academy, Firenze
Si riporta il caso clinico di Aldo, un uomo di 37 anni in sostanziale benessere, alto 1,75 centimetri e del peso di 67 Kg che appare muscoloso e in forma.
Il paziente si rivolge al Dipartimento di Emergenza perché da un paio di giorni presenta dolore e tensione alla gamba destra con un’area di arrossamento e aumento della temperatura cutanea. Dalla storia clinica non si evincono ricoveri ospedalieri pregressi, né particolari patologie o fattori di rischio, mentre dall’anamnesi familiare si segnala uno zio che ha avuto all’età di 32 anni una trombosi venosa profonda idiopatica.
Il Medico del Dipartimento fa eseguire un prelievo per il D-dimero che risulta positivo, incrementando fortemente, il sospetto della presenza di una trombosi venosa ed esegue un eco-color-doppler venoso degli arti inferiori con manovra validata CUS (Compression Ultrasonography) che evidenzia una trombosi prossimale femorale-poplitea alla gamba destra.
A questo punto vengono eseguiti una serie di test di laboratorio per valutare la presenza di fattori che da un punto di vista metabolico, ematologico o familiare potrebbero giustificare la genesi della trombosi venosa profonda. I vari parametri analizzati sia sui fattori della coagulazione, sia sui fattori genetici predisponenti, sia sugli indici infiammatori risultano del tutto negativi, compreso il fattore V di Leiden e la ricerca di anticorpi antifosfolipidi. A completamento dell’analisi il medico chiede informazioni sull’attività e il paziente riferisce di essere un impiegato delle poste.
Secondo le raccomandazioni della ACCP del 2016 in un paziente con una trombosi venosa idiopatica della gamba sia essa isolata, distale o prossimale si raccomanda un trattamento con anticoagulanti orali per almeno tre mesi valutando di proseguire il trattamento per altri tre mesi oppure per un periodo più lungo in considerazione del rischio emorragico presentato dal paziente (Figura 1).
Al paziente, quindi, viene prescritto rivaroxaban 20 mg in mono somministrazione giornaliera alle ore 12 per un periodo di sei mesi, dopo di che vi sarebbe stata una ulteriore valutazione ecografica e clinica.
Dopo quattro mesi, il paziente si ripresenta dal medico lamentando un forte dolore al gluteo destro, procuratosi dopo una caduta dalla bicicletta. Il medico esegue l’esame ecografico alla gamba destra che rivela la presenza di una parziale ricanalizzazione della lesione trombotica segnalata in precedenza, mentre l’ecografia muscolo cutanea del gluteo destro evidenzia la presenza di un piccolo ematoma.
Qui, però, emerge un particolare importante nella anamnesi del paziente, che non era stato adeguatamente indagato in precedenza: egli è un’atleta che si cimenta nella particolarmente impegnativa disciplina cosiddetta del “iron-man”, una sorta di triathlon molto estremo con competizioni che prevedono un notevole tratto a nuoto di circa 5 km, seguito da un lungo percorso di alcune decine di chilometri in bicicletta e completato da una mezza maratona finale di corsa a piedi.
Si tratta sostanzialmente di uno sport estremo, verso il quale la possibilità di traumi o distorsioni o stiramenti muscolari è abbastanza elevata.
Il medico, a questo punto, conferma la terapia anticoagulante orale, essendo l’ematoma al gluteo molto piccolo, ed invita il paziente ad avere maggiore attenzione durante queste sue attività estreme, considerandolo comunque sempre a basso rischio emorragico (Figura 2).
Dopo altri due mesi, quindi sei mesi dopo l’evento iniziale ed inizio della terapia anticoagulante orale, il paziente ritorna dal medico di nuovo per un intenso dolore, gonfiore e calore sempre alla gamba destra.
L’eco-color-doppler venoso degli arti inferiori rivela la presenza di una massa delle dimensioni di 6 cm x 4 cm x 5 cm, nella regione media del tricipite della sura alla gamba destra, indicativa di un ematoma abbastanza esteso con la impossibilità, però, di escludere con sicurezza totale, la presenza di una nuova trombosi venosa profonda.
I pazienti che praticano sport estremi, preceduti e seguiti da altrettanti estremi allenamenti si trovano, per quanto riguarda il rischio di sviluppare trombosi venosa profonda, in una area grigia in quanto, come è noto, l’esercizio fisico è di sicuro un fattore positivo per la prevenzione dell’insorgenza della patologia e non solo di quella venosa, tuttavia l’esercizio estremo che viene classificato secondo la letteratura in più di tre ore al giorno, per più di tre giorni alla settimana, secondo alcuni autori, tenderebbe ad aumentare il rischio di trombosi venosa profonda.
Questo aumento paradosso del rischio potrebbe essere legato al fatto che lo sport estremo può potenziare alcuni fattori trombogenici come eccessivo calore muscolare, la disidratazione, la possibilità di traumi sulle pareti vasali e l’attivazione di fattori dell’infiammazione.
Inoltre, l’esercizio fisico molto intenso potrebbe essere collegato anche ad alterazioni del sistema emostatico come aumento della reattività delle piastrine, riduzione del tempo di sanguinamento, elevati valori plasmatici di fattore VIII, del fattore di Von Willebrand e del fibrinogeno con aumento della viscosità del plasma.
Inoltre, il rischio elevato di traumi e cadute, aumenta, in questi pazienti, la probabilità di avere episodi di sanguinamento laddove fossero in terapia anticoagulante orale.
Informato di questo fatto, il paziente a questo punto non vuole più assumere l’anticoagulante orale e preferisce continuare la sua attività sportiva estrema senza assumere più farmaci per la prevenzione della trombosi venosa profonda ricorrente, non volendo più correre il rischio di avere nuovi ematomi che lo costringono a periodi di riposo forzato che lui, invece, vuole del tutto evitare.
A questo punto, una possibile alternativa all’abbandono totale della terapia, posto che anche secondo le raccomandazioni ACCP 2016 l’uso dell’acido accetilsalicilico non può essere considerato una valida alternativa, perché il rischio di sanguinamento è praticamente sovrapponibile, se non lievemente superiore, al beneficio di prevenzione della trombosi venosa ricorrente, potrebbe essere l’impiego del sulodexide 500 unità due volte al giorno, per un periodo di tempo indeterminato.
Come è noto, infatti, lo studio SURVET ha documentato un beneficio clinico (Net Clinical Benefit – NCB) praticamente sovrapponibile a quella degli anticoagulanti orali, con un rischio emorragico però sovrapponibile a quello del placebo e quindi totalmente indicato in una situazione un po’ particolare come quella descritta in questo caso.
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Professore di Medicina Generale Corso di Laurea in Medicina e Chirurgia Università degli Studi di Frenze Specialista in Medicina Interna Specialista in Cardiologia European Hypertension Specialist
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