Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Ago 09, 2019 Gaetano D'Ambrosio Novità dalla ricerca, Novità Homepage, Novità Ipertensione Commenti disabilitati su Effetto della pressione arteriosa sistolica e diastolica sugli eventi cardiovascolari
Valori di pressione sistolica e diastolica sono entrambi strettamente correlati con gli eventi cardiovascolari ed hanno entrambi un significativo valore prognostico.
E’ il risultato di un ampio studio di coorte retrospettivo recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine che ha coinvolto oltre 1.3 milioni di soggetti adulti assistiti da Kaiser Permanente Northen California, una organizzazione sanitaria che offre un sistema integrato di cure negli Stati Uniti.
Dagli archivi dell’organizzazione, comprendente oltre 4 milioni di membri, sono stati estratti i soggetti che nel periodo di arruolamento, compreso tra gennaio 2007 e dicembre 2008, avevano almeno un valore di pressione registrato e almeno due valori nel periodo di osservazione di 8 anni compreso tra gennaio 2009 e dicembre 2016.
Durante il periodo di osservazione sono stati rilevati gli eventi cardiovascolari (infarto miocardico, ictus ischemico e ictus emorragico) che costituivano l’outcome primario dello studio.
Il primo dato emerso dalla analisi è quello della prevalenza della malattia. Utilizzando come soglia diagnostica il classico valore di 140/90 mmHg l’82% dei soggetti esaminati è risultato normoteso mentre una ipertensione solo diastolica, solo sistolica o combinata è stata rilevata rispettivamente nell’1%, 14% e 4% dei soggetti. Utilizzando invece la soglia di 130/80 mmHg, recentemente proposta dalle linee guida americane, la proporzione di soggetti che possono ancora essere considerati normotesi scende al 56%.
E’ poi stato valutato l’andamento dei rilevamenti pressori al di sopra delle soglie diagnostiche in funzione dell’età, rilevando che l’ipertensione sistolica è sempre più rappresentata con l’aumentare dell’età mentre l’ipertensione diastolica prevale nella fascia tra 40 e 50 anni.
L’incidenza dell’outcome primario è stata valutata per ciascuno dei 40 quantili di pressione arteriosa in cui è stata suddivisa la popolazione esaminata. Il rischio aumenta in funzione dei valori di sistolica, impennandosi dopo il 35° quantile ovvero per valori di sistolica superiori a 140 mmHg. Il rapporto tra pressione diastolica e incidenza di eventi è risultato più complesso in quanto il rischio risulta aumentare in corrispondenza dei valori più elevati ma anche per i valori più bassi, al di sotto di 60 mmHg, confermando l’esistenza di una relazione pressione/rischio tipo “curva J”. Tale fenomeno si attenua fino a scomparire se i dati sono sottoposti ad una analisi multi-variata comprendente molti dati anagrafici e clinici, dimostrando che è almeno in parte spiegato dall’età e da altre covariate oltre che dalla osservazione che, nei pazienti con valori di pressione diastolica più bassi, l’ipertensione sistolica produce un effetto maggiore.
Infine gli autori hanno valutato il significato prognostico del carico pressorio, una variabile complessa ottenuta considerando di quanto e per quanto tempo i valori pressori sono risultati al di sopra della soglia diagnostica considerata (140/90 o 130/80 mmHg). Il risultato di questa analisi è espressa in termini di Hazard Ratio (HR), ovvero di rischio relativo per unità di variazione del carico pressorio, registrando un aumento del rischio dell’ordine del 18% per ogni unità di incremento della pressione sistolica e del 6-8% per ogni unità di incremento della pressione diastolica, senza significative variazioni in rapporto alla soglia diagnostica considerata.
Gli autori concludono affermando che l’ipertensione sistolica e diastolica sono entrambe correlati agli esiti cardiovascolari, indipendentemente dalla soglia diagnostica considerata. La relazione tipo curva-J della pressione diastolica conferma l’opportunità di usare cautela nel perseguire obiettivi pressori molto ambiziosi nei soggetti con cardiopatia ischemica e nelle patologie caratterizzate da un danno micro-vascolare.
Questi risultati, inoltre, sarebbero a favore dell’inserimento dei valori di pressione diastolica negli algoritmi per la stima del rischio cardio-vascolare che generalmente considerano solo i valori sistolici.
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