Ultimo aggiornamento 07/11/2020 12:00
Set 13, 2019 Cardiotool Novità dalla ricerca, Novità Homepage, Novità Ictus Tia, Novità Prevenzione Secondaria Commenti disabilitati su Molteplici fattori potenzialmente emboligeni nell’ ictus embolico di origine indeterminata (ESUS)
I pazienti con ictus embolico di origine indeterminata (Embolic Stroke of Undetermined Source – ESUS) presentano generalmente molteplici condizioni che potrebbero essere la causa del fenomeno embolico e ciò rende problematico definire una strategia efficace di prevenzione farmacologica.
Sono queste le conclusioni di uno studio eseguito esaminando i dati di 3 registri di patologia mediante i quali è stato possibile costruire una coorte di 800 pazienti affetti da ESUS ovvero da infarto cerebrale non lacunare in assenza di: 1) stenosi ≥ 50% del lume di un arteria intra o extra-cranica relativa all’area ischemica; 2) sorgenti cardio-emboliche ad alto rischio; 3) altre cause specifiche quali arteriti, dissezione, vasospasmo, abuso di sostanze.
Esaminando i dati disponibili negli archivi si è potuto rilevare che una minoranza di soggetti con ESUS (4.8%) era esente da fonti emboliche potenziali (Potential Embolic Sources – PES), circa il 30% presentava un solo PES, circa due terzi due o più.
I fattori emboligeni potenziali più frequenti sono risultati: la malattia del ventricolo sinistro (FE <35%, ipertrofia, scompenso), l’arteriopatia (placche carotidee ipsilaterali causanti una riduzione del lume < 50% o aterosclerosi dell’arco aortico), la cardiopatia atriale (dilatazione dell’atrio sinistro o extrasistoli sopraventricolari), il forame ovale pervio, le valvolopatie (stenosi o insufflicienza aortica o mitralica di grado moderato-severo) e la fibrillazione atriale diagnosticata durante il follow-up.
Inoltre è stata effettuata una analisi multivariata, comprendente molteplici variabili demografiche e cliniche, per verificare se la presenza di ciascun PES fosse associata ad un maggior rischio di recidiva di ictus rispetto ai soggetti esenti da PES. Solo la fibrillazione atriale è risultata significativamente associata a un incremento statisticamente significativo (+100%) del rischio di recidiva.
Il rischio di recidiva è risultato progressivamente maggiore nei soggetti che presentavano rispettivamente 1, 2, 3 o più PES, rispetto a quelli che ne erano esenti ma la differenza non è stata statisticamente significativa.
Appare quindi evidente che la maggior parte dei pazienti con ictus embolico di origine indeterminata presentano molteplici fattori potenzialmente emboligeni. Probabilmente il fenomeno è ancora più marcato di quanto non risulti dai dati del presente lavoro che, essendo stati ottenuti in un contesto di real life, possono essere sottostimati. Non in tutti i pazienti, infatti, può essere condotto un percorso diagnostico esaustivo comprendente procedure non attuate routinariamente quali il dosaggio dei peptidi natriuretici e della troponina T ad alta sensibilità, la risonanza magnetica cardiaca, l’ecografia trans-esofagea.
L’eterogeneità eziologica dell’ ESUS e la frequente sovrapposizione delle cause emboliche, rendono problematico l’approccio terapeutico alla prevenzione delle recidive. Infatti, in alcune fonti emboliche potenziali, quali la fibrillazione atriale, la malattia atriale, la malattia ventricolare, il forame ovale pervio e il cancro, prevale il meccanismo patogenetico del rallentamento del flusso ematico e della formazione di trombi rossi che può essere meglio contrastato con una terapia anticoagulante. Al contrario, nel caso di altre fonti emboliche, quali l’aterosclerosi dell’arco aortico e le placche non ostruenti delle carotidi, l’ulcerazione della placca favorisce la formazione di un trombo bianco sulla quale è particolarmente efficace la terapia anti-aggregante.
Questa considerazione potrebbe spiegare l’esito negativo di studi, come il RE-SPECT ESUS, che hanno confrontato l’efficacia preventiva di dabigatran e ASA in pazienti con ictus criptogenetico e, al contrario, l’esito positivo dello studio COMPASS che invece ha dimostrato la superiorità della associazione di rivaroxaban e ASA rispetto alla sola ASA in pazienti con malattia aterosclerotica.
Vi sono, quindi, i presupposti perché sia realizzato uno studio clinico ad hoc che valuti l’efficacia preventiva di una combinazione anticoagulante / antiaggregante nei pazienti con ESUS.
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